Natale, non conta l’ora ma la nascita di Cristo

20-12-2020 - Notizie

Natale, non conta l’ora ma la nascita di Cristo

di Antonio Spadaro | 1 Dicembre 2020

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Quando è nato Gesù? Con un certo fastidio san Clemente Alessandrino, scrittore greco-cristiano del II secolo, uno dei “padri della Chiesa”, annotava in un suo scritto: “Non si contentano di sapere in che anno è nato il Signore, ma con curiosità troppo spinta vanno a cercarne anche il giorno” (Stromata, I,21,146). Già queste parole ci fanno capire che in realtà non lo conosciamo; ma la stessa espressione ci fa anche comprendere bene che ciò che importa del Natale non è la data: è il fatto che il Figlio di Dio abbia preso carne umana in una notte e sia venuto come luce del mondo.

I Vangeli di Matteo e Luca non forniscono indicazioni cronologiche precise. L’affermarsi della festa nel giorno del 25 dicembre la si deve molto all’opera del papa san Leone Magno (440-461). In nessun modo la Chiesa ha mai definito questo punto, lasciando che il giorno del Natale di Gesù si consolidasse come semplice tradizione. Nel 1993 san Giovanni Paolo II, durante l’udienza di preparazione del Natale disse, ad esempio: “La data del 25 dicembre, com’è noto, è convenzionale”.

La tradizione però è molto antica: un documento dell’anno 354 attesta l’esistenza a Roma della festa cristiana del Natale celebrata il 25 dicembre. Essa, come noto, corrisponde alla celebrazione pagana – molto sentita dal popolo – del solstizio d’inverno, Natalis Solis Invicti, cioè la nascita del nuovo sole dopo la notte più lunga dell’anno. Questa è la data nella quale viene celebrata la nascita di colui che è il Sole vero che sorge dalla notte del paganesimo. La data coincideva con le ferie di Saturno, durante le quali gli schiavi ricevevano doni dai loro padroni ed erano invitati a sedere alla stessa mensa, come liberi cittadini.

Comprendiamo, dunque, che celebrare il Natale significa celebrare un evento della fede avvenuto in un momento storico preciso, ma non determinabile cronologicamente. Nella notte di Natale la liturgia ci invita a fare l’esperienza spirituale dell’entrare nell’oscurità per ammirare e adorare il manifestarsi della vera Luce, quella del Verbo di Dio che incarnandosi ha illuminato la storia: “La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta” (Gv 1,5).

La liturgia cattolica prevede, oltre a quella vespertina della vigilia, tre messe: quella ad noctem (cioè la messa della notte), la messa in aurora e la messa in die (nel giorno). Anche i protestanti e gli ortodossi che seguono il calendario gregoriano celebrano il Natale lo stesso giorno. Invece, le chiese ortodosse orientali lo celebrano il 6 gennaio; gli ortodossi che seguono il calendario giuliano il 7 gennaio e la Chiesa Armena Apostolica di Gerusalemme che segue il calendario giuliano lo celebra il 19 gennaio.

Il dato simbolicamente importante per la celebrazione della notte non è dunque l’orario esatto – che sia la mezzanotte o qualunque altra ora – ma il fatto che si celebri quando non c’è luce, quando è buio. E questo proprio per rendere evidente il senso simbolico della festa. Tuttavia la messa non è la “messa di mezzanotte”, ma “della notte”. Se si comprende il ragionamento, si comprende pure che la celebrazione della notte che dovesse svolgersi quando è buio, ma in un orario precedente alla mezzanotte, non fa di certo “nascere” Gesù in anticipo. Se la profondità della notte è ben resa dalla mezzanotte, d’altra parte, la messa alle 21 o alle 22 è prassi abbastanza comune in molte comunità cristiane per motivi di ordine pratico e per agevolare la partecipazione. La stessa celebrazione della notte di Natale in San Pietro, ad esempio, inizia sempre ben prima delle ore 24. E – ricordiamolo – è anche vero che esiste la messa dell’alba, che certamente si celebra dopo le 5 del mattino.

Veniamo a noi: certamente la politica non deve parlare di come si celebra la liturgia di Natale. E certamente la Chiesa deve evitare che le celebrazioni diventino luoghi di contagio. Le indicazioni circa il modo in cui le celebrazioni debbano svolgersi nei luoghi di culto sono solo un esempio delle restrizioni di vasta portata all’esercizio di molti diritti umani e libertà civili in tutto il mondo, causate dallo sforzo per far sì che la distanza fisica prevenga efficacemente le infezioni.

La salute pubblica è menzionata specificamente dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo come motivo per limitare la libertà di religione o di credo (articolo 9). Tuttavia, tutte le restrizioni dei diritti fondamentali devono avere una base giuridica, essere necessarie, adeguate, ragionevoli e generalmente proporzionate in relazione allo scopo che servono e al diritto che limitano.

La politica deve abbassare le mani sullo svolgimento delle celebrazioni liturgiche e non deve sottovalutare le esigenze spirituali delle comunità religiose che, con i loro valori, contribuiscono a garantire la tenuta e la coesione sociale. D’altra parte, sulle celebrazioni la Chiesa sa di dover tutelare il bene e la salute di tutti, modulando i tempi e i modi del culto, scegliendo, in sintonia con chi è preposto alla tutela della salute, come evitare che le chiese del Natale siano luoghi di contagio. Non c’è da sollevare da parte alcuna polemiche pretestuose su temi così delicati che toccano sia il bene comune e la salute dei cittadini sia alcuni valori spirituali che fondano la coesione sociale.