Salvate il soldato Enzo Bianchi

09-05-2021 - Notizie

 “Salvate il soldato Enzo Bianchi”. Il vaticanista Marco Politi s’interroga su come la Chiesa di Francesco possa essere ospedale da campo in questa situazione

 redazione     FarodiRoma  23/02/2021

“Liberate Enzo Bianchi! Liberatelo da una burocrazia ecclesiastica che ne soffoca la storia. Liberatelo da interventi che non hanno la delicatezza del medico impegnato a guarire una ferita, ma l’ottusità di chi intende risolvere le difficoltà imponendo manette spirituali”. Lo chiede il vaticanista Marco Politi, autore di “La solitudine di Francesco – Un Papa profetico, una Chiesa in tempesta” che per molti versi si sta rivelando profetico a due anni dalla sua pubblicazione.

Secondo Politi, “il punto oggi è: che cosa intende fare Papa Francesco per valorizzare una personalità che, in oltre mezzo secolo, ha portato lo slancio del Vangelo nell’Italia secolarizzata, con impulsi che hanno suscitato interesse e stabilito legami ben oltre i confini? Negli anni Sessanta, Settanta – in una stagione segnata dal completo disincanto se non spesso ostilità nei confronti del senso religioso – Bianchi ha iniziato a portare generazioni di ceti totalmente differenti a riflettere, meditare, appassionarsi del Vangelo. Ha stimolato a conoscere i tesori della mistica ortodossa. Ha aperto la strada ad un rapporto costante con le altre confessioni cristiane, in una visione non diplomatica dell’ecumenismo ma nella consapevolezza che essere cristiani è antecedente all’essere cattolici, luterani o anglicani. Ha saputo cogliere, infine, in piena sintonia con il pensiero di papa Francesco ma del tutto indipendentemente, il valore della tutela del Creato e dello spogliarsi della mentalità di credenti o non credenti, che si sentono ‘padroni’ della Terra.

“Questa storia – spiega il vaticanista – non richiede oggi un burocratico ‘passare ad altro’. Non richiede il silenzio di chi non vuole mai disturbare il manovratore, chiunque esso sia. Non richiede la disattenzione della Chiesa italiana, che se vuole davvero fare un Sinodo (come pungola Papa Francesco) deve saper individuare la differenza tra ciò che favorisce la crescita dell’essere credenti e l’operosa burocrazia di chi fa sempre ciò che sempre si è fatto”.

“La storia di Bianchi – conclude Politi – interpella infine lo stesso Papa. Nell’ospedale da campo, ha sempre detto, si aiuta a guarire e a rimettere in piedi senza fermarsi a pregiudiziali cartelle cliniche”.

Nella foto: una sequenza di “Salvate il soldato Ryan” di Steven Spielberg (1998), un film totalmente focalizzato sulla realtà cruda del campo di battaglia. Il regista si convinse del progetto grazie all’ottima sceneggiatura di Robert Rodat (ispirata da fatti reali) e al forte interesse di Tom Hanks. In seguito, precisamente nel 2001 prima e nel 2010 poi, forti del grande successo di pubblico avuto con la pellicola, la coppia Hanks/Spielberg produsse due miniserie tv incentrate ancora sul secondo conflitto mondiale: “Band of Brothers” (2001) e “The Pacific” (2010).
Dopo essere sopravvissuti allo sbarco in Normandia, il capitano John Miller (Tom Hanks) e la sua compagnia del 2° battaglione Ranger, vengono incaricati dal governo americano di organizzare un’operazione di salvataggio per riportare in patria il soldato James Francis Ryan (Matt Damon), paracadutista disperso e unico sopravvissuto dei quattro fratelli della famiglia Ryan.
Inizia così una faticosa e disperata ricerca nell’entroterra della Normandia, completamente invasa dall’esercito tedesco.
Particolarmente toccante ed evocativa è la prima sequenza del film che ritrae in maniera impeccabile tutta l’operazione di sbarco sulle spiagge della Normandia occupate dai tedeschi. La riproduzione è il più realistico e cruento possibile. Molti dettagli sono fedeli alla realtà storica. Per ottenere questo effetto sono state utilizzate delle riproduzioni reali dei mezzi da sbarco e alle riprese hanno partecipato come comparse dei veri soldati, alcuni dei quali con vere amputazioni.

Bose. Fratel Enzo Bianchi isolato nell’eremo. Trasferiti a Cellole 4 monaci che contestavano provvedimenti e Manicardi. Ora nessun monaco osa fiatare

 redazione    03/05/2021

Diversamente da quanto riportato da qualche testata, Fratel Enzo Bianchi non ha abbandonato Bose, ma vive ancora nel suo eremo, dove si trova da solo ed ha il divieto di incontrare gli altri monaci della Fraternità da lui fondata. Solo ad un monaco è stata data l’autorizzazione ad assisterlo, vista la sua età avanzata.

A Cellole, in Toscana, dove volevano esiliare Enzo Bianchi, sono andati 4 monaci (Fr. Adalberto, Padre Valerio, Fr. Dario e Fr. Emiliano) che hanno sempre contestato il “modus agendi” del Priore e della Santa Sede, ritenendoli inopportuni e non evangelici. Altri monaci sono sulla linea di confine e stanno subendo pressioni per abbandonare la comunità.

“Tutti i dissidenti sono stati esiliati in Toscana. Ora si sta tentando di intimidire chiunque apra bocca”, scrive un blogger bene informato.

“A Bose – spiega –  l’aria è viziata. Ad un anno dal decreto pontificio, le violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno e all’interno della comunità il clima è peggiore delle carceri bulgare. Il Priore, Luciano Manicardi e i suoi adepti continuano a celebrare processi alle intenzioni e ad accusare i monaci di essere ‘spie’. Un clima irrespirabile che metterebbe chiunque a dura prova. Da mesi in comunità vengono perpetrate violenze psicologiche e vengono mosse accuse. Durante i capitoli, addirittura gli ultimi arrivati accusano i più anziani per poter apparire agli occhi del priore”.

La fonte di queste tristi informazioni è la stessa che ha rivelato il tentativo degli attuali superiori  di falsificare lo statuto per ottenere denaro al fine di finanziare i convegni.

“In questo clima, il Priore e i suoi seguaci, hanno deciso di esiliare coloro che all’interno dei consigli parlavano di ‘riconciliazione, sanare le fratture e portare ad una reintegrazione degli allontanati’. Consigli ai quali partecipò anche il Delegato pontificio e che, a sorpresa, era l’unico che riteneva superfluo parlare di questa possibilità, la quale poteva “anche non verificarsi”. Cencini, il quale sarebbe dovuto andare a Bose per trovare una soluzione nell’ottica cristiana del perdono, è divenuto invece colui che ha portato divisione e malcontento”. Ed oggi “fa la spola fra Magnano e Verona”, sede della sua comunità di appartenenza.

“Dopo la provvisoria chiusura che aveva disposto lo stesso delegato, facendo credere a tutti che Bianchi avesse accettato le sue disposizioni disumane, ora la fraternità di Cellole di San Gemignano – scrive ancora il blog silerenonpossum.it – torna a prendere vita. Resta l’infausto compito per quella realtà: ospitare i monaci dissidenti. Il sabato precedente alla Domenica delle Palme i monaci hanno partecipato ad un consiglio alla presenza di Cencini. In quella occasione è stato deciso l’esilio dei monaci che avevano dato la disponibilità per andare con Bianchi.

Degli undici monaci che diedero inizialmente la loro disponibilità, solo in quattro hanno accettato di andare a Cellole, esasperati dal clima irrespirabile all’interno della comunità. A loro, il priore e il consiglio dei professi, hanno promesso di dare autonomia e renderli così una fraternità indipendente da Bose entro sei mesi.

‘Se si vuole arrivare a proporre qualcosa di positivo occorre che facciamo verità’ ha detto il delegato pontificio. Bisogna chiedersi quale idea di verità ha Cencini, visto che tutti i suoi interventi sono stati caratterizzati da bugie e menzogne che prontamente abbiamo smentito. A partire dalla falsa informazione trasmessa ai media ovvero che Bianchi accettò le sue condizioni disumane, salvo poi asserire che quel consenso non fu mai dato per iscritto”.

FarodiRoma aggiunge solo un pensiero che da tempo non ci fa stare tranquilli: la situazione di Bose sembra speculare (sia pure in dimensioni molto ridotte e su una materia molto meno grave) a quella trovata da Papa Francesco in Cile nel gennaio 2018, quando i Vescovi e il Nunzio convinsero il Papa che andava difeso il vescovo di Osorno, una scelta che avvelenò quel viaggio, salvo poi, alcuni mesi dopo, aprire gli occhi e dimettere l’intero episcopato cileno. Stavolta è il contrario, sembra che non ci sia modo di far trapelare a Santa Marta la verità sull’assoluta innocenza e buona fede di Enzo Bianchi e smascherare i congiurati che hanno tramato perchè si arrivasse alla soluzione del tutto ingiusta dell’esilio.