La Napoli che (r)esiste

22-07-2021 - Notizie

Il percorso di Mamre tra i luoghi del degrado, ma anche il desiderio di riscatto e l’impegno di religiosi e laici nel realizzare le condizioni per una città migliore.

GABRIELE SALA Volontario associazione “Mamre” - Borgomanero

 

Chi conosce da tempo le attività di Mamre, o ci segue attraverso le pagine di Iqbal, sa bene che la mission della nostra Associazione è quella di essere al fianco delle vittime di violenza, in particolare donne e bambini ma, più in generale degli invisibili, degli ultimi, dei diseredati e dei dimenticati, non solo nella realtà locale, ma in ogni altro luogo, in Italia o all’estero, ovunque vengono perpetrate ingiustizie, discriminazioni, soprusi che vogliamo conoscere, far conoscere e denunciare perché “Se gli altri tacciono, se noi anziani e responsabili-tante volte corrotti-stiamo zitti, se il mondo tace, vi domando: ‘Voi griderete?’ Per favore, decidetevi prima che gridino le pietre.” come ebbe a dire papa Francesco sfidando i giovani presenti in Piazza S. Pietro il 26 marzo 2018, in occasione della GMG.

Denunciare le ingiustizie significa anche onorare la memoria di quanti hanno dato la vita affinché venissero rispettati i diritti di altri esseri umani, dal giovane pakistano da cui questa rivista prende il nome, fino al sindacalista italiano di origini marocchine Adil Belakhdim, morto il 18 giugno scorso, ucciso da un camion nel corso di una manifestazione dei lavoratori nell’area logistica della Lidl di Biandrate, mentre si svolgeva lo sciopero nazionale unitario del settore proclamato da Si Cobas (di cui Adil era coordinatore provinciale) e altre sigle sindacali. 

Una di queste situazioni che andrebbero gridate, urlate, per la vergognosa assenza dello Stato, è quella che abbiamo toccato con mano nella nostra recente missione nelle periferie degradate di Napoli: Scampia, Rione Sanità e San Giovanni a Teduccio. Quest’ultimo, all’estrema periferia est di Napoli, ha rappresentato per quasi un secolo lo storico polo industriale dell’industria conserviera con il marchio Cirio, nel quale avevano trovato lavoro - tenuto conto dell’indotto - oltre 10.000 persone e aveva consentito il fiorire di tante attività commerciali come bar, negozi, servizi di ristorazione per i dipendenti; la chiusura dello stabilimento, avvenuta 25 anni fa, ha gettato sul lastrico migliaia di famiglie, molte delle quali sono emigrate al nord in cerca di lavoro, altre hanno deciso di rimanere cercando di inventarsi piccole attività, altre ancora, le più fragili, abbandonate a sé stesse dai Servizi e dalle Istituzioni.

Ma, parafrasando San Paolo, possiamo affermare che laddove abbonda il degrado, sovrabbonda la solidarietà: dove lo Stato è assente perché manca un ospedale, l’ambulatorio medico funziona a singhiozzo, non esiste un asilo nido mentre l’unica scuola superiore è stata chiusa, c’è l’impegno, il coraggio, la forza profetica del Vangelo dei cosiddetti “preti di frontiera” che, insieme ai volontari, accompagnano i percorsi educativi dei giovani, risollevandoli da un destino segnato dall’abbandono da parte delle famiglie e delle istituzioni, rendendoli facili prede della malavita e delle dipendenze e non mancano di prendersi cura di anziani, pazienti psichiatrici, senzatetto, migranti. Molti di loro, oltre ad affrontare le numerose problematiche presenti sul territorio, dando prova di eroismo quotidiano, si devono spesso scontrare con le gerarchie ecclesiastiche più conservatrici che, considerandoli “disubbidienti”, adottano nei loro confronti provvedimenti disciplinari che consistono in trasferimenti o demansionamenti.

E’ il caso di don Aniello Manganiello, sacerdote guanelliano che dai primi anni Novanta al settembre 2010 è stato il parroco di Santa Maria della Provvidenza, a Scampia.  Durante quel periodo si batté con coraggio per sconfiggere la camorra e sostenere i più deboli, impegnato nella difesa della giustizia, ma anche nella ricerca di redenzione e dialogo con i camorristi di cui denunciò, al tempo stesso e senza indugio, l’azione criminale. Senza reticenze né ipocrisie. In modo radicale e spesso critico anche nei confronti di molte istituzioni che ancora oggi risultano assenti. Il suo atto d'accusa nei confronti delle istituzioni che lo avrebbero spesso lasciato solo nelle sue battaglie e della Chiesa, che esortò ad essere più severa nei confronti della criminalità e con prese di posizione più dure specialmente nell' amministrazione dei sacramenti, dicendo: “I sacramenti non si buttano via. Gesù disse di non dare perle ai porci", gli costarono un trasferimento presso una chiesa della borghesia romana, un esilio durato 10 anni. In quel periodo fondò l’Associazione “Ultimi contro le mafie e per la legalità”, che ad oggi conta diversi presidi in molte regioni. Nell’ottobre 2020 don Aniello Manganiello è tornato a Scampia, salutato dai suoi ex-parrocchiani dalle finestre e dai balconi come uno di famiglia e ai quali si è rivolto dicendo loro: “Voglio tornare ad essere per la comunità il prete di cortile, quello che sta in mezzo ai bambini e ai ragazzi, perché è la condizione migliore per parlare loro ed essere un deterrente contro la malavita”. Oggi, avvalendosi di alcuni collaboratori, ha rimesso in piedi la Scuola Calcio dell’Oratorio Don Guanella; grazie alla Legge che consente l’assegnazione dei beni confiscati alle mafie, Ciro Corona, uno dei ragazzi cresciuti con lui negli anni in cui don Aniello era Parroco, non solo è riuscito a sfuggire alle maglie della criminalità organizzata, alle lusinghe di un guadagno facile e a una strada lastricata di droga e morte, ma ha scelto un'altra strada, come tanti altri a Scampia e, dopo una laurea in Filosofia, è divenuto Operatore di strada e di Comunità e ha creato uno sportello anti-camorra che è diventato un punto di riferimento per quanti resistono alla criminalità organizzata. Inoltre è coordinatore del polo socio-culturale intitolato a Gelsomina Verde, una giovane ventiduenne vittima della camorra e, attraverso l’associazione gestisce anche il Fondo rustico Amato Lamberti, il primo bene agricolo confiscato di Napoli sul quale vengono ora prodotti vino, miele, confetture e birra artigianale secondo la logica dell’agricoltura sociale (in particolare, ad esempio, con percorsi lavorativi individualizzati per detenuti). “A Scampia – ci spiega Ciro – sono presenti 120 associazioni, non tutte attive, ma ce ne sono almeno una quarantina si occupano dell’educazione dei giovani (trasporti, doposcuola, animazione), di avviamento ad un lavoro legale, di attività sportive, artistiche e teatrali…”.

Un altro sacerdote coraggioso che abbiamo incontrato nel nostro “pellegrinaggio tra miseria e desiderio di riscatto”, è certamente don Antonio Loffredo, parroco della basilica Santa Maria della Sanità, bellissima chiesa situata al centro dell’omonimo Rione. Nel pur breve incontro che abbiamo avuto con lui nella sacrestia della chiesa è riuscito, con ottime capacità di sintesi, ad analizzare i problemi del quartiere, i bisogni delle persone, le scarse risorse disponibili e le attività che è riuscito a mettere in campo per rendere il quartiere più vivibile. Tra le risorse, ha ricordato l’incredibile patrimonio storico-artistico presente sul territorio e il patrimonio umano rappresentato dai ragazzi desiderosi di cambiamento. Uno dei primi interventi è stato quello di rendere agibili le Catacombe di San Gaudioso, poste sotto la chiesa: i ragazzi della Comunità Parrocchiale, assistiti da un gruppo di professionisti (architetti, storici, designer, etc.), hanno reso nuovamente agibili le catacombe attraverso un duro lavoro materiale, che ha significato ripulirle, illuminarle, creare i vari percorsi, costruire pensiline in ferro; ma anche "studiarle", produrre la dovuta documentazione, il materiale promozionale, i libri, creare la cultura per poterle gestire: chi visita le catacombe vuole sapere e capire tutto e i ragazzi hanno dovuto studiare per essere in grado di fornire l'assistenza richiesta. In seguito è stata costituita la Cooperativa Paranza (paranza significa anche compagnia, società) che ha reso accessibili, anche ai disabili, le Catacombe di San Gennaro, curandone l'illuminazione e tutti i diversi aspetti per offrire al visitatore sensazioni ed emozioni particolarissime. In seguito sono sorte altre due cooperative sociali: la prima, Iron Angels, che si occupa di realizzazione di strutture in ferro, ma anche di lavorazioni artistiche; la seconda, l’Officina dei Talenti, realizza impianti di illuminazione. I ricavi provenienti da queste attività, insieme a quelli dell’elegante B&B Il Monacone, adiacente alla chiesa, consentono di coprire le spese e pagare gli stipendi di una quarantina di giovani lavoratori.

Nella nostra visita al rione Sanità non poteva certo mancare l’incontro con padre Alex Zanotelli, un altro religioso, missionario comboniano, che ha pagato duramente le sue posizioni a difesa dei più deboli. Sia da parte delle autorità sudanesi, che gli negarono il visto di entrata, a causa delle sue forti denunce sociali; sia dalla curia romana che lo accusava di sincretismo religioso a causa delle sue celebrazioni che attingevano, a suo dire, agli usi e costumi africani. In seguito scontò con la rimozione da Direttore - da parte delle autorità ecclesiastiche - della rivista Nigrizia, il fatto di aver definito l’allora ministro Giovanni Spadolini “un piazzista d’armi” e di aver denunciato il sistema corrotto che regolava gli aiuti ai Paesi del Terzo Mondo. Dopo 12 anni nell’inferno di Korogocho, la più grande baraccopoli del mondo, alla periferia di Nairobi (Kenya), dove ha dato vita a piccole Comunità in mezzo a una realtà fatta di violenza, alcolismo, prostituzione, droga e AIDS, Padre Alex è tornato a Napoli, vive in una piccola casa ricavata nel campanile della Basilica di Santa Maria della Sanità e continua a portare avanti le sue battaglie in favore dell’acqua pubblica, della lotta al commercio delle armi, alla concentrazione di enormi ricchezze nelle mani di pochi e, con la Comunità Crescere Insieme, offre assistenza a tossicodipendenti ed emarginati del quartiere Sanità. In un contesto diverso, ma come a Korogocho, ha un solo obiettivo di fondo: “Aiutare la gente a rialzarsi, a riacquistare fiducia”.

Sempre nel Rione Sanità, abbiamo potuto visitare il Centro La Tenda, fondato da don Antonio Vitiello che, dopo una lunga esperienza per il recupero dei tossicodipendenti, l’impegno nei confronti dei detenuti nelle carceri di Poggioreale e Secondigliano e il sostegno alle loro famiglie, nel 2000 intraprende il percorso rivolto ai minori e alle famiglie del quartiere Sanità, con attività socio ricreative e di sostegno scolastico. Nel 2005 vengono avviate le attività di contrasto alle povertà di strada attraverso l’accoglienza di persone senza fissa dimora italiani e immigrati e nel 2013 viene inaugurata Casa Crescenzio, una struttura h24 che nasce con la finalità di accogliere persone senza dimora italiani e stranieri, con problemi di salute che necessitano di un periodo di assistenza socio-sanitaria, offrendo loro un letto e un pasto caldo. Parallelamente, prendono il via le attività dell’Ambulatorio Medico e della Farmacia solidale, allo scopo di fornire assistenza sanitaria, raccolta e distribuzione di farmaci gratuitamente sia agli ospiti del centro di accoglienza notturno, sia a tutte le famiglie del quartiere che vivono in condizioni di povertà.

Ovviamente, l’impegno di Mamre non si riduce al “conoscere per far conoscere”, la parola, la denuncia, l’indignazione, quando non sono sorrette da azioni concrete, hanno ben poco valore, si riducono a pura ideologia, fuffa.  Così abbiamo deciso di sostenere i progetti in corso donando a padre Alex Zanotelli la somma di 10.000 € per la realizzazione di un Centro di Incontro e sostegno ai bambini e alle donne vittime di violenza domestica; a don Aniello Manganiello abbiamo destinato 2.000 € a supporto dei progetti in atto in Oratorio; mentre altri 2.000 € sono andati a don Antonio Vitiello finalizzati all’acquisto di generi alimentari per il Centro La Tenda.

Ultima tappa del nostro viaggio è stata la visita all’Associazione Figli in famiglia Onlus, la cui fondatrice e presidente è Carmela Manco, suora laica che ha profuso il suo impegno in favore degli ultimi fin dal 1994. Impegno che le è valso numerosi riconoscimenti, ultimo dei quali il titolo di Commendatore della Repubblica Italiana, elargito dal presidente Mattarella il 27 dicembre 2019 “per il grande impegno sociale e culturale dimostrato”. Le attività si svolgono nel quartiere di San Giovanni a Teduccio (di cui abbiamo già accennato alle problematiche), in un grande capannone della Cirio, acquistato accendendo un pesante mutuo ma, come dice Carmela, “la Provvidenza non ci ha mai abbandonato”. Il capannone, da tempo in disuso, è stato ristrutturato e arredato utilizzando materiali poveri o di recupero: il risultato è quello di aver creato un ambiente accogliente, dove ci si sente subito in una grande famiglia. Le attività sono rivolte agli ultimi, ai più disagiati, a quelle persone che hanno difficoltà dal punto di vista economico, culturale e sociale. Vengono accolti bambini dai due anni in su, che possono disporre di una ludoteca, fruire del doposcuola e del centro estivo. “Inoltre – aggiunge suor Carmela – organizziamo laboratori per ragazzi, adulti e anziani. Accogliamo tutti.  Il tentativo è quello di aiutarli a riscoprire i loro talenti e le loro capacità che troppo spesso non sanno di possedere”. 

Cosa ci ha insegnato questa esperienza? Beh, ad esempio che il pregiudizio e i luoghi comuni, alimentati anche da una certa cultura, dai libri di Roberto Saviano e tutta la cinematografia che ne è seguita, ci fanno vedere tutto ciò che c’è di negativo come la violenza, lo spaccio, l’incuria delle strade e delle case, ma ci fa fanno perdere di vista le persone che in quei luoghi ci abitano. Persone caricate di un pesante fardello di sofferenza sulle spalle; persone la cui povertà non è solo economica, ma anche culturale e sociale: una povertà che emargina, esclude, preclude la possibilità di sentirsi parte di questo mondo, di appartenere ad una storia. Eppure, è solo intervenendo a livello culturale ed educativo che possiamo vincere la sfida principale del nostro tempo, che è il recupero di quei “capitali sociali” fondamentali per superare ogni forma di povertà.