25anni nella comunità di Sant’Egidio

13-10-2021 - Notizie

Venticinque anni nella comunità di Sant’Egidio. Un memoriale

Per la prima volta, parla un ex membro importante della comunità. Ne descrive gli aspetti meno conosciuti. E chiede al tribunale diocesano di Roma di giudicare

di Sandro Magister

 

ROMA – Il suo ultimo riconoscimento internazionale la comunità di Sant’Egidio l’ha ricevuto da “Time”. Nel numero del 28 aprile scorso il prestigioso newsmagazine americano ha incluso il fondatore della comunità, Andrea Riccardi, fra i 36 “Eroi Europei” dell’anno.


La pace, i poveri, il Vangelo: questi i tre elementi che caratterizzano la comunità, nel profilo pubblicato da “Time”. Profilo che traspare anche dal suo sito web in venti lingue:

Ma questa è solo l’immagine pubblica, universalmente nota, della comunità di Sant’Egidio.

Perché della comunità c’è anche una faccia meno conosciuta. Quando nel 1998 un’inchiesta dell’“Espresso” ne svelò alcuni tratti, scoppiò un terremoto. Dal Vaticano esigettero dai capi di Sant’Egidio delle giustificazioni. E imposero dei correttivi, che riguardavano in particolare i tre sacramenti dell’eucaristia, della penitenza e del matrimonio.

Oggi, a sollevare ancor più il velo sulla vita interna della comunità è un uomo che ne ha fatto parte per più di 25 anni, dalla fase nascente fino al Natale del 2000. Si chiama Giuliano Fiorese, ha 47 anni ed è professore di scienze naturali al liceo scientifico statale “C. Antonietti” di Roma. Sposatosi anni fa con una appartenente alla comunità, dalla quale si è poi separato, ha presentato quest’anno presso il tribunale diocesano di Roma la richiesta di riconoscimento di nullità del matrimonio. Ha addotto come motivo della nullità la «costrizione». E ha allegato alla richiesta un memoriale: quello che nei suoi passaggi essenziali è riprodotto qui sotto.

Questo memoriale non è solo la prima critica pubblica che un suo ex membro importante ha mai rivolto alla comunità. È anche l’atto di una causa giudiziaria. L’autore intende mostrare come la costrizione che avrebbe invalidato il suo matrimonio sia parte di un più generale sistema autoritario che governerebbe l’intera comunità di Sant’Egidio.

Ecco il testo, corredato di titoli redazionali:

Vita da Sant’Egidio

di Giuliano Fiorese

 

 

[…] Entrambi i genitori di G. furono contrariati al vedere che la figlia, avendo cominciato a frequentare la comunità di sant’Egidio, era spesso fuori, non tornava a pranzo e a cena e non passava neppure il Natale in famiglia. Ci furono molte discussioni finché lei, sostenuta dalla comunità, andò via di casa, ospite prima di una amica della comunità e poi di un'altra. Non diceva ai suoi genitori dove abitava e raramente si faceva sentire per telefono. La madre la implorava, ma lei si diceva orgogliosa di aver lasciato la sua famiglia per dedicarsi anima e corpo al servizio della comunità. […]

La storia di G. non è che una delle tante storie dei membri della comunità di Sant'Egidio, nelle cui famiglie d’origine ha fatto nascere disaccordi, divisioni e inimicizie. A sostegno della rottura con la famiglia di sangue viene citato il Vangelo di Matteo al capo 10: “Sono venuto a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera; e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa”.

 

 


FRATELLI E SORELLE

 

Per ogni membro di Sant’Egidio, infatti, la vera madre è la comunità. E tutti si considerano tra loro fratelli e sorelle. Ma tra questi vi sono i maggiori e i minori. Fratello o sorella maggiore è chi è da più anni nella comunità e soprattutto ha più autorità nel rispettivo gruppo, in quanto gode dell’apprezzamento dei capi. Ognuno ha un fratello o una sorella a cui fa riferimento, si confida, confessa i propri peccati, racconta i segreti più intimi della propria vita: una sorta di padre o madre spirituale. […]

 

IL FONDATORE

 

Sono le parole del fondatore Andrea Riccardi che danno l’impronta alla comunità. Ogni predicazione, ogni discorso del fondatore viene registrato in un video spedito alle varie comunità sparse per l’Italia e nel mondo. Le cassette vengono raccolte in una videoteca e catalogate con cura.

Dai discorsi del fondatore derivano le omelie che i vari preti tengono nelle liturgie di quartiere, o i responsabili locali nelle preghiere serali. Quando poi i vari gruppi di cui si compone la comunità si riuniscono, le parole del fondatore vengono di nuovo lette e applicate. Alla luce di esse ognuno confessa davanti agli altri ciò che nella propria vita vede di oscuro e di sbagliato, convinto che il peccato che ha confessato sarà perdonato. L’intervenire così in assemblea vale per lui come una confessione sacramentale: dopo il proprio intervento, se accettato dai responsabili, si sente a posto con la coscienza, riconciliato con Dio e con il mondo ma soprattutto con la comunità. Una preghiera pubblica durante la messa domenicale suggella il pentimento e il desiderio di riscatto. Gli amici più stretti mostrano la loro vicinanza al riconciliato con gesti di affetto.


Tutte queste procedure valgono sia per le comunità italiane che per quelle all’estero. Una o due assemblee ogni anno vengono trasmesse da Roma via satellite in una decina di paesi dove è presente almeno una piccola comunità. […]

 

OBBEDIENZA E ALTRE VIRTÙ

 

Nei discorsi del fondatore, tra le virtù più raccomandate ci sono l’umiltà, l’obbedienza, la disponibilità, la fedeltà, la generosità.


A ciascuno viene chiesto conto dell’osservanza di queste virtù. Umiltà al punto da considerarsi sempre figli della comunità, bambini bisognosi delle cure di una madre, mai adulti indipendenti né orgogliosi, poiché ogni azione e parola che viene fatta o detta è per il bene di ciascuno e di tutti. Obbedienza alla comunità e a chi la rappresenta ai massimi livelli perché è obbedienza al Vangelo, a Dio e a chi parla in suo nome e lo annuncia, cioè ai capi e ai fratelli maggiori. Disponibilità e prontezza in ogni momento a rispondere alle esigenze della comunità, senza quell’esitazione che è sintomo di sfiducia. Fedeltà nel servizio, agli appuntamenti liturgici e assembleari. Generosità nel donare tempo, mezzi, denaro e nell’accogliere gli altri nella vita e nelle proprie case.

 

 

IL SACRAMENTO DELLA CONFESSIONE

 

In quest’atmosfera di rispetto e venerazione per i capi, chi fa da padre spirituale diventa portatore di una autorità sacra e incontestabile, proiezione di quella del fondatore. […] Don Vincenzo Paglia, l’assistente spirituale della comunità divenuto vescovo nel 2000, ha molto contribuito a rafforzare il ruolo del fratello maggiore. A chi si confessava da lui, prima dell’assoluzione raccomandava due cose; la prima era di formulare una preghiera pubblica durante la messa, la seconda di confidare le cose dette in confessione al fratello maggiore responsabile della sua vita. Ma di fatto, nella comunità, il colloquio con il fratello non si aggiunge alla confessione, semplicemente ne prende il posto. È noto che nella comunità di Sant’Egidio la confessione sacramentale è poco praticata.
 

 

SANTO E PROFETA

 

Al padre spirituale si dice tutto della propria vita ma costui della sua non racconta quasi nulla. […] Alcuni anni fa uscì un libro intervista del fondatore Andrea Riccardi che fu acquistato da tutti; questo testo rivelò per la prima volta aspetti della sua infanzia e adolescenza nella famiglia d’origine fin lì sconosciuti. Ancora dopo trent’anni passati assieme, la maggior parte dei membri della comunità non sapeva quasi nulla della sua vita.


Un’altra volta furono fatti circolare appunti di discorsi e pensieri che il fondatore avrebbe scritto in giovane età, tra i 18 e i 20 anni. In questi scritti si volle scorgere il seme della futura comunità. E la svelata lungimiranza di quel giovinetto indusse molti a definirlo “santo” e “profeta”.

 

STUDI

 

Io stesso, in oltre 25 anni di vita in comunità, di padri o madri spirituali ne ho avuti quattro. A costoro ho raccontato tutta la mia vita, il passato, i pensieri, i sogni, le paure, le speranze, gli amori. Sempre sapendo di loro ben poco. […] Un mio padre spirituale, Fabrizio Nurra, pensò di indirizzare anche il mio percorso universitario. A causa degli impegni in comunità avevo rallentato gli studi e questo succedeva a molti di noi; mi disse quindi di abbandonare la facoltà di medicina alla quale ero iscritto al quarto anno, per passare a quella di biologia, come lui stesso aveva fatto.


Ci furono altri che come me furono obbligati a cambiare facoltà. Due miei amici si erano appena iscritti a scienze politiche, ma il giorno stesso incontrarono il loro responsabile che li costrinse ad annullare immediatamente quell’iscrizione e a immatricolarsi nella facoltà di lettere. Altri furono indotti a intraprendere la scuola per assistenti sociali pur essendo orientati a svolgere professioni tecniche, di cui avevano i diplomi. Altri ancora lasciarono l’università per frequentare corsi per infermieri o per fisioterapisti. Spesso un lavoro veniva abbandonato in cambio di professioni che impegnassero solo una parte della giornata: perché l’altra parte del tempo doveva essere dedicata alle attività della comunità. Un esponente di rilievo, Mario Marazziti, definì la comunità un insieme di uomini e donne che rinunciano alla propria carriera per la fedeltà al Vangelo e per servire i poveri. […]

 

FIDANZAMENTI

 

Va sottolineato che i nostri fratelli e sorelle maggiori riferiscono a loro volta tutto di tutti a un coordinatore, anche le cose più intime, e decidono assieme a lui gli indirizzi da seguire nelle scelte di ciascuno, comprese le matrimoniali. Una volta confidai al mio padre spirituale che mi ero innamorato di una ragazza di 18 anni. Mi disse che non era adatta a me perché troppo giovane, mentre sarebbe stato meglio che mi fidanzassi con un’altra, di 23 anni, la quale aveva rivelato alla sua madre spirituale un interesse nei miei confronti. Quest’ultima ragazza a me non piaceva e lasciai cadere la proposta, ma dovetti rinunciare anche alla ragazza di cui ero innamorato.


Conobbi poi colei che sarebbe divenuta mia moglie: frequentavamo lo stesso gruppo e svolgevamo lo stesso servizio. Fu lei a invitarmi a cena e a farmi capire che le interessavo. Seppi poi che lei aveva parlato di me alla nostra comune madre spirituale, Valeria Martano, dalla quale era stata incoraggiata a prendere l’iniziativa. Per un breve periodo, quindi, provai a stare assieme a lei, ma presto la lasciai perché non mi piaceva. Questo rifiuto scatenò contro di me la reazione della nostra madre spirituale che mi rimproverò di aver illuso quella sorella e di averla lasciata senza chiedere preventivamente il suo consenso. E anche in comunità la cosa ebbe strascichi: fui rimproverato in assemblea, criticavano tutto quello che facevo come assistente di anziani, i miei amici mi evitavano. Dovetti ravvedermi e seguire i consigli di chi “ti vuole bene più di tua madre”. Qualche tempo dopo mi fidanzai con la ragazza che era stata prescelta per me.

 

Durante un convegno nel 1984, furono molte le persone della comunità a parlare esplicitamente di fidanzamenti combinati. Era una prassi comune fidanzarsi con partner indicati dai propri padri e madri spirituali. Alcuni dissero di aver obbedito a un fraterno consiglio o a un’amorevole indicazione, altri di aver chiesto una sorta d’approvazione per i loro rapporti di coppia.

 

Coloro che criticarono questa prassi dovettero ritrattare e chiedere pubblicamente perdono per quello che avevano detto. Furono fatti accorrere i preti della comunità e i colpevoli furono invitati a confessarsi subito. Alcuni, subito dopo quel convegno, uscirono dalla comunità. […]

 

NASCITE

 

I più osservanti pianificano con il proprio padre spirituale anche se avere o no un figlio, se farlo subito o dopo qualche anno. Un mio amico rimase addolorato fino alle lacrime, quando la moglie alla quale aveva detto di desiderare un bambino gli rispose che prima doveva consultare la propria madre spirituale. […]

Alcune coppie in comunità decidono esse stesse di non avere bambini, ma spesso sono i genitori spirituali a non volere che li abbiano e a influire sulle coppie. Di fronte alle perplessità di persone esterne le risposte usuali sono: “ne faremo uno fra qualche anno” o “non ci sono venuti”. Qualche bambino è stato adottato. […]

 

MATRIMONI

 

Ritornando alla mia fidanzata, presto rimase incinta […] e poco più di due mesi dopo eravamo sposati. In questo breve periodo dovetti vedermela con tutti i miei genitori spirituali vecchi e nuovi, subire i loro rimproveri, sopportare le accuse di immaturità, di incoscienza, di maschilismo. […]

 

Nessuno dei nostri fratelli della comunità ci chiese se volevamo sposarci né se eravamo felici di farlo. Al matrimonio riparatore, tre dei quattro testimoni erano nostri padri e madri spirituali, ma erano assenti gran parte dei fratelli fondatori. Il prete che ci sposò è l’attuale rettore dell’Università Urbaniana, monsignor Ambrogio Spreafico, che né ci preparò al sacramento né ci confessò – ed erano anni che non ci confessavamo, io personalmente da almeno quattro. […]
Non ricordo nella mia vita un giorno più imbarazzante di quello: stavo sposando una donna che non amavo; mi vergognavo di presentarla ai miei familiari; mi sentivo pesare addosso il giudizio della comunità; aspettavo un figlio che non avevo desiderato; il mio futuro era incerto e avevo paura.

 

La persona più importante della comunità che avevo invitato, Alessandro Zuccari, non venne, e ciò era una evidente punizione agli occhi di tutti. E dopo la cerimonia, la mia madre spirituale di allora, Marilena Piazzoni, testimone di nozze, si rifiutò di partecipare al banchetto, nello sconcerto degli altri invitati, perché sosteneva che non l’avevo invitata in modo specifico al pranzo di nozze. […]

 

I giorni successivi non attenuarono il mio senso di colpa. Non facemmo nessun viaggio di nozze. Non ricordo nessuno che nella comunità l’abbia fatto. Dopo che ci si sposa, si usa compiere missioni comunitarie all’estero o altri servizi. I problemi nel nostro matrimonio insorsero subito: incomprensioni, incompatibilità caratteriali, diversità di interessi, differenze culturali, disaccordi riguardanti l’affettività e la sessualità. […]

 

OSPITI

 

A settembre ci nasce una figlia, alla quale diamo un nome concordato con i nostri fratelli maggiori, e i problemi diventano tantissimi. […] Tuttavia la comunità ci chiede subito di ospitare a casa nostra qualche altro fratello o sorella. Dapprima un nostro fratello resta con noi per due o tre mesi, poi due nostre sorelle per altri sei o sette mesi, poi una moglie separata e incinta con un bambino di sei anni per altri quattro anni, infine un altro fratello per un anno intero. Tirando le somme, nei primi sei anni del nostro matrimonio siamo stati da soli per meno di sei mesi. […]

 

FUORIUSCITI

 

Fino a qualche anno fa chi lasciava la comunità era pesantemente riprovato. In un primo momento si cercava di riportarlo sulla retta via, ma se l’operazione falliva era messo al bando: “Sia per te come un pagano e un pubblicano” (Mt 18, 17), con tutto ciò che l’abbandono comportava per chi aveva costruito tutta una vita di relazioni dentro la comunità e all’improvviso si ritrovava solo: disagi, sofferenze, depressioni e in alcuni casi persino suicidi.

 

 

“AMICI”

 

Inoltre, i racconti dei fuorusciti gettavano discredito sulla comunità. Per questo, alcuni anni fa si decise di cambiare strada. Fu creata una sorta di comunità parallela chiamata degli “amici”, nella quale far confluire i dissidenti, tenendoli in qualche modo vicini. Questo piccolo gruppo partecipa ad alcuni incontri della comunità, ma in forma non vincolante, e senza poter accedere agli appuntamenti riservati ai membri a titolo pieno, dei quali non si deve riferire a loro nulla. […]

 

RECLUTE

 

Per raccogliere nuovi seguaci, negli anni Settanta e Ottanta la comunità agiva soprattutto nelle scuole superiori e nelle borgate, con assemblee e mostre fotografiche sulle attività sociali per bambini e anziani, al termine delle quali si lanciava l’invito a partecipare a una festa. […] La festa era preparata con molta cura; doveva risultare molto coinvolgente e dar spazio alla spontaneità di ciascuno. Chi era positivamente colpito da un’accoglienza così calorosa ritornava ai successivi appuntamenti, che però non erano altre feste ma incontri di servizio e di preghiera, che man mano legavano il nuovo venuto alla vita della comunità. […]

 

A partire dagli anni Novanta però questo metodo ha dato sempre meno frutti ed è stato quasi del tutto abbandonato. Oggi la comunità fa proselitismo tra ragazzi di età sempre più bassa, tra gli 11 e i 14 anni, riuniti sotto l’insegna del “Paese dell’arcobaleno”. Mentre tra gli adulti cerca di far breccia nei quartieri popolari, con piccoli gruppi di 4-8 persone chiamati “Scuole del Vangelo”, che si riuniscono un paio di volte al mese sotto la guida di un membro della comunità. Ai più fedeli frequentatori di questi incontri vengono rivolti inviti sempre più coinvolgenti. […]

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Note, notizie, link

 

(s.m.) Critiche alla comunità di Sant’Egidio sono venute già negli anni Settanta e Ottanta anche da autorevoli uomini di Chiesa come il vescovo Clemente Riva, ausiliare della diocesi di Roma, e Luigi Di Liegro, direttore della Caritas.

 

Ma la stampa italiana e internazionale ha sempre dato un rilievo pressocché nullo a queste critiche. Il più recente, completo e sinora unico rapporto “non autorizzato” sulla storia e la struttura della comunità di Sant’Egidio è quello apparso su “L’Espresso” il 9 aprile 1998:


Sant’Egidio story. Il grande bluff (9.4.1998)

 

Questo rapporto uscì corredato da una scheda sulle attività di pacificazione svolte da Sant’Egidio in diversi teatri di guerra nel mondo, con alterno successo:

 

Sant’Egidio “ad extra”. La disfatta di Algeri (9.4.1998)


Grazie a questa sua diplomazia “free lance”, proseguita fino a oggi, Sant’Egidio si è guadagnata l’epiteto di “Onu di Trastevere” (dal nome del quartiere di Roma ove ha sede). Ma ha anche incontrato l’avversione della segreteria di Stato vaticana. Nel maggio del 1998, alla messa per il trentesimo anniversario della comunità, il cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano, pronunciò un’omelia che fu interpretata come molto critica nei confronti della comunità. Anche oggi i rapporti tra Sodano e Sant’Egidio sono freddi.

 


Un altro punto che ha sollevato critiche riguarda il matrimonio. In comunità lo si celebra senza solennità, come un ripiego rispetto alla scelta celibataria, un «rimedio alla concupiscenza». I capi usano citare san Paolo: «Meglio sposarsi che ardere dal desiderio». Frequenti sono le separazioni e i divorzi.

Quanto ai figli, diverse coppie non ne hanno voluti generare. Hanno detto in ripetute occasioni i capi di Sant’Egidio all’inviato dell’“Espresso” che ne chiedeva la ragione: «Di fronte a tanti uomini e bambini abbandonati, non esiste solo la paternità di sangue. I nostri figli sono i poveri». Quando i figli sono presi in adozione o in affido, talora ad averli in cura è una “comune” di membri di Sant’Egidio, più che la singola coppia.

Quanto al loro modo di celebrare la messa, dopo che anche “L’Espresso” l’aveva descritto, il Vaticano è intervenuto e ha imposto l’osservanza delle norme. Il risultato è che da alcuni anni la comunità di Sant’Egidio celebra le sue messe a porte aperte, l’omelia è pronunciata da preti e non più dal fondatore Andrea Riccardi o da altri laici, e la processione finale dei capi in ordine gerarchico non si fa più.

Ma alcune cose che in pubblico sono state abolite continuano a essere fatte a porte chiuse. Dopo la messa la comunità torna a riunirsi in una sala, riascolta la lettura del Vangelo e Andrea Riccardi o un altro suo portavoce tengono la “vera” omelia, alla quale segue una preghiera dei fedeli tutta intracomunitaria.


Quanto al numero degli aderenti, le ultime cifre ufficiali della comunità di Sant’Egidio parlano di 40.000 membri in circa 60 paesi di tutti i continenti.

Ma gli effettivi sono molti di meno. La comunità madre di Roma, che è anche la più cospicua, non arriva a 500, così ripartiti: 120 il nucleo storico di Sant’Egidio, 150 il gruppo Pentecoste, 120 il gruppo Risurrezione, 90 il gruppo Sant’Andrea. I primi due gruppi si riuniscono nella basilica di Santa Maria in Trastevere, il terzo nella chiesa di Santa Trinità dei Pellegrini, il quarto nella chiesa di San Bartolomeo all’Isola. A questi membri effettivi si possono aggiungere i circa 100 ragazzi del “Paese dell’arcobaleno” e i circa 400 adulti delle “Scuole del Vangelo”.

Le gerarchie interne e le attribuzioni di responsabilità sono cambiate di poco rispetto a quelle descritte nel rapporto dell’“Espresso” del 1998. Di nuovo c’è stata nel 2000 la promozione di don Vincenzo Paglia a vescovo di Terni, Narni e Amelia, e la nomina di don Matteo Zuppi a parroco della basilica di Santa Maria in Trastevere.

 

Sono continuate però le defezioni, anche importanti. Dal nucleo storico di Sant’Egidio sono usciti definitivamente in questi ultimi anni:

 

  • Andrea Bartoli, l’antagonista principale di Andrea Riccardi nello scontro interno al gruppo dirigente del 1992;
  • Agostino Giovagnoli, ordinario di storia contemporanea all’Università Cattolica di Milano e fino ai primi anni Novanta unico vero leader alternativo a Riccardi;
  • Serenella Chiappini, del ristretto gruppo delle fondatrici e numero due tra le donne, moglie di Alberto Quattrucci, organizzatore dei meeting interreligiosi annuali;
  • Roberto Bonini, già responsabile delle attività in Centroamerica;
  • Milena Santerini, anch’essa leader di spicco tra le donne, moglie di Giovagnoli;
  • Paola Piscitelli, compagna di Bartoli.

Ma nessuno di questi ha troncato i rapporti con la comunità. Fanno parte del gruppo degli "amici" descritto da Giuliano Fiorese nel suo memoriale. E tacciono del tutto sulle ragioni che li hanno spinti a lasciare.


In Vaticano, scontata l’avversione di Sodano, i capi di Sant’Egidio hanno il pieno appoggio del potente segretario di Giovanni Paolo II, l’arcivescovo Stanislaw Dziwisz, vantano l’amicizia dei cardinali Achille Silvestrini e Roger Etchegaray, e coltivano crescenti rapporti con il cardinale Crescenzio Sepe, prefetto della congregazione “De propaganda Fide” (proprietaria della Pontificia Università Urbaniana di cui è rettore un prete di Sant’Egidio, Ambrogio Spreafico).


Inoltre, quest’anno i capi di Sant’Egidio hanno invitato il cardinale Giovanni Battista Re (che pure è stato uno dei loro critici più severi, colui che nel 1998 li richiamò all’ordine dopo l’inchiesta uscita su “L’Espresso”) a celebrare nella basilica di San Paolo fuori le Mura il trentacinquesimo anniversario della comunità. Re e Sepe sono entrambi in corsa per succedere a Sodano.

 

In vista del futuro conclave Sant’Egidio mira a far blocco con i vari papabili, a cominciare dal cardinale Dionigi Tettamanzi, il più in vista degli italiani. In cambio offre la sua collaudata capacità di tessere rapporti e convogliare consensi.

 

In un campo del tutto diverso, quello della carta stampata, attuale obiettivo di Sant’Egidio è portare un suo uomo, Roberto Zuccolini, giornalista del “Corriere della Sera”, a succedere a Luigi Accattoli (vicino alla pensione) nel ruolo di vaticanista del primo quotidiano italiano.