La Chiesa deve entrare in politica?
Certo. Ma facendolo come lo ha fatto Gesù
Leggendo e rileggendo gli scritti del Nuovo Testamento, non è possibile trovare argomenti che possano giustificare il fatto, così ripetuto nella storia, di ingerenze (dirette o indirette) dei vertici della Chiesa in questioni politiche. Erode ordinò la decapitazione di Giovanni Battista e Gesù, in base a quanto racconta il Vangelo, non disse una parola. In un’altra occasione, mentre Gesù parlava al popolo, alcuni riferirono pubblicamente che Pilato aveva ucciso alcuni Galilei mentre offrivano un sacrificio nel Tempio. La reazione di Gesù è stata sorprendente. Perché non ha detto una parola contro Pilato, ma ai suoi ascoltatori ha detto: «Se non vi convertirete, finirete tutti allo stesso modo» (Lc 13,5).
A quanto detto, si deve aggiungere la risposta data da Gesù a chi voleva creargli un serio problema con le autorità romane, utilizzando la questione del pagare o meno il tributo a Cesare. Al che Gesù abilmente rispose: «Quello che è di Cesare, restituitelo a Cesare; e ciò che è di Dio, a Dio» (Mc 12, 13-17; Mt 22, 15-22; Lc 20, 20-28). La politica al suo posto e la Chiesa al suo.
E a quanto detto, bisogna aggiungere un dato eloquente: nei racconti della passione e morte di Gesù, chi si è opposto alla condanna a morte di Gesù non è stato il Sinedrio dei sacerdoti, ma il prefetto dei Romani (Mt 15, 6-15 par).
La Chiesa deve entrare in politica? Ovviamente. Ma facendolo come lo ha fatto Gesù. Non con la pretesa di comandare e di accaparrarsi potere e capitale, ma con il progetto di gestire una società in cui i diritti umani siano rispettati e soprattutto, se certe fasce della popolazione devono essere protette e favorite, i più favoriti devono essere i più bisognosi. Se la politica si intende in questo modo, è chiaro che la Chiesa deve entrare in politica. Così ha fatto Gesù. Ed è quello che devono fare coloro che «seguono» Gesù.
Ma è un dato di fatto che la politica di solito non si esercita al servizio dell’«uguaglianza», ma per difendere (e anche acuire) le «differenze». Ebbene, chi la pensa così e agisce di conseguenza, non ha scoperto - o non vuole sapere - che la differenza è un «fatto», mentre l’uguaglianza è un «diritto» (Luigi Ferrajoli). E, come è ben noto, il «fatto» deriva dalla natura (uomo e donna, per esempio), mentre il «diritto» deriva dalla decisione umana, secondo le sue convenienze (il «diritto» di uomini e donne non deriva dalla natura, ma dalla convenienza degli uomini).
Ebbene, quando i politici hanno la libertà e il coraggio di applicare questo criterio al governo della società, il principio determinante del capitalismo crolla e scompare. Il capitalismo si basa su un «diritto» inventato dai capitalisti. Come nell’antichità sono stati inventati diritti che non avevano le donne, gli schiavi, i neonati, gli stranieri o gli omosessuali, ecc. Ha pienamente ragione Peter G. Stein nel suo eccellente studio sul diritto romano nella storia d’Europa (El derecho romano en la historia de Europa, Siglo Veintiuno de España Editores, Madrid 2006, p. 57 [trad. it., Il diritto romano nella storia europea, Cortina Raffaello, Milano 2001]), quando afferma che «la Chiesa non ha ricondotto i suoi insegnamenti al Vangelo», ma «includeva il diritto romano». In altre parole, la privazione dei diritti per «I dimenticati di Roma» (Robert C. Knapp).
È triste che sia ancora attuale il testo scritto da Walter Benjamin nel 1921, «Capitalismo come religione» (Il nuovo Melangolo, Genova 2013). Secondo questo autore, «il cristianesimo al tempo della Riforma non ha propiziato la promozione del capitalismo, ma si è trasformato in capitalismo». La «gente di Chiesa» abbastanza frequentemente e quanto più in alto stia, giustifica la sua situazione, giustificata servendosi della Religione, che con le sue pratiche e osservanze tranquillizza le coscienze.
La Chiesa deve entrare in politica? Per come viene intesa e praticata la politica, ciò che la Chiesa deve fare è avere la libertà e l’audacia di dire e fare non ciò che conviene alla Religione per trarre profitto dal capitalismo, ma di dire e fare ciò di cui ha bisogno la stragrande maggioranza dell’umanità, milioni di esseri umani indifesi che, a partire da molti secoli prima di Cristo, devono sottomettersi e sopportare non le «differenze», ma le «disuguaglianze» che hanno inventato coloro che comandano.
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Articolo pubblicato il 12.12.2021 nel Blog dell’Autore in “Religión Digital” (www.religiondigital.com)
Traduzione a cura di Lorenzo TOMMASELLI