IN SEGUITO ALLA VISITA DI ZELENSKY A ROMA

19-05-2023 - Notizie

Articolo di Domenico Gallo

Non c’è bisogno di intercettazioni per comprendere quanto sia pericoloso il delirio di onnipotenza di Zelensky, che vuole portare alle estreme conseguenze la guerra con la Russia, rifiutando ogni negoziato.

Zelensky a Roma: Vincere non porta bene

“Vincere! E vinceremo, per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia all’Italia, all’Europa, al mondo”.

Non l’ha detto Zelensky il 13 maggio dalla terrazza del Vittoriano a Roma, l’ha detto Mussolini dal balcone di Piazza Venezia il 10 giugno. In verità  Zelensky se non ha usato le stesse parole del Duce, tuttavia ha utilizzato il medesimo registro linguistico e ideologico.

La pace come frutto della vittoria, la vittoria come frutto della disfatta militare (e politica) del nemico. La pace può essere raggiunta solo con la vittoria e solo la vittoria può rendere la pace “giusta”. Non ci può e non ci deve essere nessuna mediazione col nemico, il Papa non deve ostacolare la marcia verso la vittoria, aprendo al dialogo con nemico. Solo la disfatta totale del nemico – questo è il succo dei discorsi di Zelensky – può aprire la porta ad un lungo periodo di pace con la giustizia per l’Ucraina, per l’Italia, per l’Europa, per il Mondo.

Nel suo incontro con la Meloni, Zelensky ha rilanciato il suo c.d. piano di pace in dieci punti, che contempla il recupero di quei territori che si sono separati nel 2014, vale a dire la Crimea e quelle zone del Donbass, oggetto degli accordi di Minsk. Interrogato da Vespa su cosa intende per la vittoria, ha risposto in modo evanescente, ma ha lasciato intendere che non basta la deoccupazione manu militari  di tutti i territori che l’Ucraina non controlla più dal 2014: «la vittoria non sono solo i territori. Noi vogliamo la giustizia, la esigiamo e vogliamo la pace, ma vogliamo una pace giusta”. In altre parole Zelensky concepisce la “vittoria”, come la vittoria delle potenze alleate contro il nazismo, cioè come la disfatta totale del nemico e la sua punizione.

Se indubbiamente la criminale scelta di Putin di risolvere il suo contenzioso con l’Ucraina, con il ricorso alla guerra è stata dettata da un delirio di onnipotenza (oltre che da un calcolo politico sbagliato), anche la “postura” di Zelensky che si illude di poter ricacciare indietro le forze armate russe e smembrare la stessa Russia, staccandovi la Crimea (che costituisce una Repubblica autonoma inserita nella Federazione Russa), è frutto di un eguale e contrario delirio di onnipotenza, frutto degli incoraggiamenti ricevuti da USA e GB, attraverso un incremento continuo e massiccio delle forniture militari.

E’ proprio la pretesa del governo ucraino di riconquistare manu militari il controllo di quei territori che non controllava più dal 2014, che ha trasformato la natura della guerra. Da resistenza militare ad un’aggressione in corso (ai sensi dell’art. 51 della Carta dell’ONU), la guerra condotta dagli ucraini con il sostegno decisivo di USA, GB e UE, si è trasformata in una controaggressione nei confronti della Russia.

Quando irresponsabilmente il Parlamento Europeo chiede ai paesi membri un incremento del flusso degli armamenti per consentire all’Ucraina di recuperare i confini del 1991, ignora che in questo modo si esce fuori dallo schema aggredito-aggressore e si istiga l’aggredito a trasformarsi a sua volta in aggressore. Ignora che dal 2014 è in corso una guerra civile e che una parte della popolazione russofona del Donbass si sente più garantita dalla Russia e che la popolazione della Crimea ha optato, quasi all’unanimità, di ritornare a far parte della Russia.

La pretesa dell’Ucraina di “conquistare” la Crimea è altrettanto assurda quanto lo sarebbe la pretesa della Serbia di riprendersi manu militari il Kosovo, che illegalmente la NATO ha separato dalla Jugoslavia, calpestando il principio dell’inviolabilità delle frontiere. Se la Serbia con le sue forze armate invadesse il Kosovo per ristabilirvi la sua sovranità (a cui non ha mai rinunciato), qualcuno potrebbe dubitare che si tratterebbe di un atto di aggressione, un crimine vietato dal diritto internazionale?

Del resto, il minacciato ingresso delle truppe Ucraine in Crimea viene percepito come un’aggressione alla propria patria da parte dei russi e questo determina il rischio di un’escalation incontrollabile del conflitto.

Quando è stato fatto notare che, proprio la questione della Crimea, potrebbe determinare il ricorso alle armi nucleari da parte del Cremlino, Zelensky ha risposto con un’alzata di spalle, dichiarando di credere: “che Putin non userà le armi nucleari (.) perché ha voglia di vivere”. In sostanza ha fatto sfoggio di irresponsabilità ed arroganza, banalizzando il pericolo di una catastrofe nucleare, che colpirebbe prima di tutto il suo popolo e tutti gli altri popoli europei.

In un articolo pubblicato il 15 maggio il Washington Post, basandosi sulle intercettazioni trapelate dal Pentagono, rivela gli istinti aggressivi del leader ucraino, in netto contrasto con la sua immagine pubblica di statista stoico che resiste alla brutale aggressione della Russia. In particolare, emerge l’aspirazione di Zelensky di disporre di missili a lunga gittata (che in questi giorni la Gran Bretagna gli sta fornendo) per compiere attacchi in profondità nel territorio russo e viene disvelato un suo progetto di “far saltare” il gasdotto Druzhba che fornisce petrolio all’Ungheria.

In realtà non c’era bisogno di intercettazioni, né di rivelazioni di segreti per comprendere quanto sia pericoloso il delirio di onnipotenza di questo personaggio, che vuole portare alle estreme conseguenze la guerra con la Russia, rifiutando ogni negoziato, incurante delle sofferenze terribili che provoca al suo stesso popolo.

Quando un leader politico articola una sola parola: “Vincere”, noi italiani sappiamo bene quale valore sinistro questa parola assume nel fuoco della Storia.

Domenico Gallo

Lettera di Raniero La Valle 

in Newsletter Chiesa di tutti chiesa dei poveri n.297 del 17 maggio 2023

 

L'ATOMICA E IL COVID

 Cari Amici,

A missione conclusa, si capisce meglio il senso del giro delle Sette Chiese che il presidente Zelensky ha fatto, dalla Polonia a Roma, al Vaticano, a Berlino, a Parigi, a Londra e a Bruxelles. Tre erano i suoi obiettivi: la conferma dell’appoggio politico dei suoi alleati e l’assicurazione che esso non verrà meno anche se la controffensiva annunciata dovesse durare a lungo; chiedere più armi, e soprattutto i caccia per la guerra aerea con la Russia, perché non si vince una guerra senza il dominio del cielo; stanare il Papa, fargli compromettere la sua terzietà  e il ruolo di mediatore, annettere anche lui alla crociata dell’Occidente contro la Russia, distoglierlo dal voler parlare con Putin. 

Dei tre obiettivi il primo è sfato raggiunto a partire dalla Polonia, la nuova pupilla degli Stati Uniti in Europa, fino  alla promessa di nuove sanzioni alla Russia da parte di Ursula von der Leyen, e con la straordinaria accoglienza goduta in Italia; il  secondo è stato solo in parte raggiunto perché gli sono stati negati i caccia, oltre quelli già forniti da Varsavia; il terzo si è risolto in un disastro.

La solidarietà dell’Italia è giunta fino all’identificazione tra le due leadership, al loro accomunarsi nel perseguimento della vittoria,  e fino alla definizione della Russia come “il Nemico”, data da Giorgia Meloni nel discorso a Palazzo Chigi; qualifica di nemico che equivale allo stare in guerra contro qualcuno (Biden definisce Russia e Cina non come “nemici” ma “competitori strategici”) guerra che però in Italia  può  essere deliberata solo dalle Camere e dichiarata dal presidente della Repubblica. In cambio Zelensky ha preconizzato che anche l’Italia dovrà mandare i suoi figli a combattere in questa guerra quando la Russia, se non sarà sconfitta, invaderà i Paesi baltici, come diceva la “teoria del domino” ai tempi della guerra del Vietnam.

Del tutto mancato è stato invece il terzo obiettivo che metteva in gioco la “missione” perseguita dal Papa. Zelensky si è presentato da lui con il suo elenco di richieste, cha ha poi enunciato la sera nelle esternazioni di “Porta a porta”, nelle quali ha espresso tutta la sua delusione e ha licenziato il Papa dicendo di non aver bisogno di un mediatore. Nell’udienza era incorso in un grave infortunio regalando al Papa una piastra antiproiettile e un’icona della Madonna senza il bambino, sostituito da una cancellatura nera (per significare “la perdita” dei bambini nella guerra), che sarebbe come presentare il cristianesimo senza Cristo e non fare di Maria “la mamma di Gesù”, come si è poi affrettato a chiamarla il Papa all’ “Angelus” domenicale.

Da tutto ciò risulta che questa guerra non è un pezzo della “guerra mondiale a pezzi”, ma è già in nuce la guerra mondiale intera. Resta la grande incognita del ruolo che avrebbe l’arma nucleare. Interrogato sull’ipotesi che la Russia vi faccia ricorso (come è previsto nella sua strategia se fosse messa a rischio l’esistenza stessa dello Stato), Zelensky ha risposto che Putin ha paura di morire, come dimostra quando riceve i suoi ospiti seduto al tavolo lungo per non prendere il Covid, e perciò non userebbe la bomba perché anche lui morirebbe. Non sembra una risposta da statista, quando nella guerra fredda per scongiurare uno scontro nucleare  fino a liberarsi dall’atomica si ricorse addirittura alla deterrenza e all’equilibrio del terrore, e si impegnarono i più grandi statisti, da Kissinger a Gorbaciov a Rajiv Gandhi.

Perciò bisogna fermare la guerra, perché oggi siamo in altre mani.

Nel sito pubblichiamo una riflessione di papa Francesco, nel discorso tenuto recentemente all'Università cattolica di Budapest, sul rischio tecnocratico, e un testo di Raniero La Valle, “Allarme per la democrazia”, per la presentazione del libro “Guerra Ucraina” di Domenico Gallo.

Con i più cordiali saluti,

Raniero La Valle

 Chiesa di Tutti Chiesa dei Poveri