Una storia delle reazioni clericali e laicali al Concilio Vaticano II, e poi ai 50 anni di anticoncilio, per quanto io sappia, non è stata scritta. Ma una cosa è certa: nel 1962 al 1965 convennero a Roma persone sconosciute al grande pubblico che dettero una impronta di creatività evangelica alla chiesa che ripensava se stessa e il suo rapporto on il mondo. Successivamente si videro in CEI e nel mondo, vescovi “scomodi” che per la loro eccentricità non erano per nulla ascoltati, anzi erano liquidati con sufficienza. “Parla quello sbaglio dello Spirito Santo, parli pure, tanto chi può prenderlo sul serio?”.
Questo succedeva non per cattiveria e malafede, ma solo perché – a Concilio chiuso – le voci della restaurazione in senso istituzionale erano prevalse su quella carismatica e profetica. Di questi “sbagli dello Spirito Santo” ricordo solo alcuni nomi: Anastasio Ballestrero, Luigi Bettazzi, Tonino Bello, Raffaele Nogaro, Oscar Romero, e Jacques Gaillot di cui ci occupiamo. Per nulla dire della sorda e tenace opposizione a due “sbagli” di lusso: Giovanni XXIII e Francesco.
In realtà non si trattava di “sbagli dello Spirito” ma dell’istituzione-chiesa che lasciava sfuggire dalle sue maglie quelle cellule impazzite, gaudio della gente semplice assetata ed affamata di giustizia, pugno nell’occhio e fastidioso pungolo della chiesa in cui prevaleva più l’apparato legalistico-cultuale, affaristico, diplomatico, che il Vangelo.
Nel 1982 veniva ordinato vescovo di Évreux (Normandia) Jacques Gaillot, un prete ordinario, “classico” diremmo, ma segnato da 28 mesi di servizio militare in Algeria, sufficienti a dargli la profondissima convinzione che l’uomo non è fatto per la violenza ma per amare, e che il Regno andava predicato soprattutto agli “scarti”, agli “sconfitti”.
Sarà il vescovo che sta decisamente dalla parte dei poveri, che è in profonda comunione con gli amati da Dio, i “poveri” appunto, i disgraziati, gli immigrati, i disprezzati musulmani, i senza casa, i carcerati, i “sans papiers”. Questione di gusto – avrà pensato qualche confratello nell’Episcopato – lasciamolo fare! Forse non si intuiva quanto la scelta di essere Pastore degli “scarti” modulava il suo servizio a tutta la diocesi, la sua catechesi, la sua liturgia, il suo stile di vita.
Come dice molto bene il sottotitolo del volume che presentiamo: Gaillot era un “vescovo per il Vangelo”, nella chiesa, ma non “della chiesa”, vescovo per servire i fratelli, come il suo Signore, non per eccellere sulla massa. Ma ad un certo punto il potenziale eversivo di questa centralità del vangelo come norma della chiesa, esplode agli occhi dell’opinione pubblica.
Mons. Gaillot è accanto ad un obiettore di coscienza al servizio militare (Michel Fache), disapprova - e ne spiega le ragioni - un documento della Conferenza Episcopale Francese (Gagner la paix) che sostiene la legittimità delle armi nucleari.
Ma forse la goccia che fa traboccare il vaso è la pretesa del vescovo di essere evangelicamente presente nel dibattito sulla sopraffazione governativa contro gli immigrati. Questo anello congiunge l’indignazione “santa” di tanti vescovi francesi con la preoccupazione politica del Ministro degli Interni francese Charles Pasqua.
Nel 1994 Gaillot compie due gesti “eversivi”: occupa con i “Sans Papiers” la storica Basilica del Sacro Cuore a Montmartre, e pubblica un libro dove spiega la sua posizione di francese, di cristiano e di vescovo di ogni uomo che gli è stato affidato: “Urlo contro l’esclusione. L’anno di tutti i pericoli”.
Ce n’era d’avanzo per fare infuriare il governo del tempo e per riaccendere vecchi rapporti cesaro-papisti con la chiesa cattolica. Si ricorre alla Santa Sede (era papa Giovanni Paolo II) che tacita la Conferenza Episcopale Francese ed il governo della nazione “primogenita della Chiesa”, con la destituzione di Gaillot – nel 1995 - da vescovo di Évreux a vescovo titolare di Partenia, diocesi inesistente da secoli. Le fantasie clericali sono infinite, come inventare “Pastori” senza gregge … “La mannaia è caduta” – commenta Gaillot. Ma si illude chi ritiene di avere messo un bavaglio al vescovo che da sempre si era sentito “tagliato su misura proprio per il Vangelo”.
Comincia la terza parte della vita del nostro Vescovo. Il suo essere battezzato, cattolico e Pastore, lo porta a farsi carico degli oppressi di tutto il mondo. Per dirla alludendo all’Autore del libro (p. 29) e al primo prefazio dei defunti, “La messa non è finita, ma allargata, trasformata”. Gira il mondo Mons. Jacques, con Greenpeace, visita carcerati di tutto il mondo (li cerca anche a Messina in una sua visita, reclamando di parlare con i suoi “fratelli”), sta dalla parte di ogni sofferente, di ogni vittima del sistema disumano che chiamiamo civiltà occidentale, a prescindere da religione, colore della pelle, cultura, nazionalità. Un celebre teologo del tempo, Eugen Drewermann, per Gaillot è un poverocristo lasciato solo nel suo sforzo pastorale, perseguitato dalla cecità clericale. E gli sta accanto, lo sorregge, gli parla. Gaillot non aspetta la vecchiaia per essere fedele al suo Cristo. Scrive: “Mi prendo la libertà di pensare, di esprimermi, di dibattere, di criticare senza paura della mannaia” (p. 39), appoggiato, sorretto, mantenuto in piedi, non dall’apparato ecclesiastico ma dal Vangelo che annunzia, e “dalla sua gente” (p. 49). La morte sorprende questa creatura generosa e profetica il 23 aprile 2023. Da morto – ci sembra - “urla” ancora la necessità di tornare al Vangelo, a tutto il Vangelo. E siamo grati al prof. Tommaselli per averlo posto sotto i nostri occhi di confusi cristiani.
LORENZO TOMMASELLI, Jacques Gaillot – Un vescovo per il Vangelo, Ed. Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2024, pp. 86, euro 11,90.
*Recensione pubblicata il 5.6.2024 nel sito www.settimananews.it