PAPA LEONE: DISARMARE LA PAROLA

12-05-2025 - Notizie

Papa Leone oggi nel suo discorso ai giornalisti li ha invitati a disarmare le parole. Speriamo che non solo i giornalisti ma la stessa Chiesa accolga seriamente questo invito, iniziando a disarmare quella che può essere la più pericolosa e fonte di ogni violenza, la stessa Parola di Dio. Ultimamente a Gaza un colono, Bibbia alla mano e mitra nell’altra, citava un versetto nel quale il Signore comandava di sterminare i nemici… Parola di Dio? Quale Dio?
Come definire un tale che “gioirà a vostro riguardo nel farvi morire e nello sterminarvi”? (Dt 28,63). Uno che è capace di gioire nel distruggere le persone è un boia e della peggiore specie.
E che dire di uno che così si vanta: “ubriacherò di sangue le mie frecce, si sfamerà di carne la mia spada, del sangue degli uccisi e dei prigionieri, delle teste dei nemici…” (Dt 32,42; Sal 68,22).
Non è un degenerato criminale?
Queste espressioni, riferite nientemeno che al Dio di Israele, sembrano  giustificare l’aforisma coniato dal filosofo francese Jean Rostand: “Uccidi un uomo e sei un assassino. Uccidine milioni e sei un conquistatore. Uccidili tutti e sei un Dio”.
Il Creatore, dopo la prova generale del diluvio, dove “fu cancellata ogni esistenza che era sulla superficie del suolo: dall’umanità agli animali, ai rettili e agli uccelli del cielo” (Gen 7,23), mantenne l'allenamento all’ecatombe facendo “piovere dal cielo sopra Sòdoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco... distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti” (Gen 19,24-25).
Episodi del genere fanno sì che molti, iniziata con ogni buona intenzione  la lettura della Bibbia, siano tentati poi di accantonarla, scandalizzati perché in quel che ritenevano essere un libro di ricca spiritualità trovano ogni sorta di malefatte compiute dagli uomini. E fin qui pazienza, visto che l'uomo è sempre uguale, ma è addirittura sconcertante scoprire un Dio con i peggiori difetti dell'uomo, amplificati però dalla sua onnipotenza. Un Dio geloso, ma di una gelosia che “punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione” (Dt 5,9), vendicativo, permaloso, furibondo, sanguinario, spietato.
La sua irascibilità terrorizza perché è immotivata, come quella volta in cui fulminò quel poveretto che, credendo di fare una cosa buona, “stese la mano per trattenere l’arca, perché i buoi vacillavano. L’ira del Signore si accese contro Uzzà e lo colpì perché aveva steso la mano sull’arca, e morì sul posto” (1 Cr 13,10).
Se questo è Dio, meglio farne a meno.
Ma davvero Dio è così?
È possibile che colui che Gesù descriverà poi come un Padre compassionevole, ricco d'amore e di tenerezze materne, sia stato in passato una specie di orco?
La Bibbia non è la cronaca  di fatti storicamente successi, ma la riflessione teologica di avvenimenti, a volte distanti secoli dall’accaduto, narrati nella formulazione tipica delle epopee.
Israele, nel suo travagliato cammino, ha compreso che negli avvenimenti della sua storia era presente il Signore, un fedele alleato al quale viene attribuito il successo o l'insuccesso di ogni impresa (Dt 2,33-34), un Dio che serve soprattutto a giustificare le proprie mire espansionistiche (Gs 11,20).
Chiarito ciò, si comprendono meglio certi libri della Bibbia che, se non sono letti in questa ottica, portano davvero non solo al timore ma all'orrore e al rifiuto di un Dio dipinto come mostro sanguinario. Per questo occorre leggere i racconti biblici obiettivamente e non con l'occhio fanatico del religioso che si arrampica sugli specchi per trovare sempre e comunque una giustificazione a tutto quel che Dio e il suo popolo combinano insieme.
Come leggere per esempio l'esodo degli Ebrei, iniziato e terminato nella violenza?
Si potrebbe tentare di vedere la storia dall'altra parte, quella degli Egiziani? Stando ai racconti biblici, la liberazione degli Ebrei è costata loro un prezzo certo troppo caro, basti pensare alla morte di tutti i primogeniti maschi.
Se per gli Ebrei l'esodo ha voluto dire la conquista della libertà, esso è stato  anche un fallimento, perché nessuno di quelli che sono stati liberati dalla terra d’Egitto è giunto poi all'agognata terra promessa, ma tutti sono crepati nel deserto (Nm 14,22-23.29-33).
D’altro canto, per gli Egiziani la liberazione degli Ebrei ha significato carneficina.
Il Signore, per liberare il suo popolo prediletto, infatti, non si è limitato a uccidere il faraone e i carcerieri, ma ha sterminato tanti di quegli innocenti che la strage del re Erode al confronto sembra una birichinata: “A mezzanotte il Signore percosse ogni primogenito nel paese d'Egitto, dal primogenito del faraone che siede sul trono fino al primogenito del prigioniero nel carcere sotterraneo... un grande grido scoppiò in Egitto, perché non c'era casa dove non ci fosse un morto!” (Es 12,29).
E come è possibile esultare per questa immane carneficina arrivando a pregare come se niente fosse: “Colpì l’Egitto nei suoi primogeniti, perché il suo amore è per sempre… travolse il faraone e il suo esercito, perché il suo amore è per sempre”? (Sal 136,10.15; Es 15,21).  
L’ “amore per sempre” per gli uni equivale alla morte per gli altri.
Una volta liberato il suo popolo, Dio deve poi farlo entrare nella Terra promessa.
C'era solo il piccolo, trascurabile particolare che quel territorio era legittimamente abitato da altre popolazioni...
No problem!
Basta eliminarle tutte quante: “Il Signore ascoltò la voce d’Israele e gli consegnò nelle mani i Cananei; Israele votò allo sterminio i Cananei e le loro città” (Nm 21,3).
Così il Signore, per dare al suo popolo la Terra  promessa, la convertì per i legittimi abitanti in una grande fossa comune.
Ed è una macabra litania quella che la Bibbia snocciola: “Giosuè in quel giorno conquistò Makkeda: passò a fil di spada la città e il suo re, li votò allo sterminio, con ogni essere vivente che era in essa, non lasciò alcun superstite”. Poi passò a Libna “e il Signore consegnò anche questa città  e il suo re nelle mani d'Israele, che la passò a fil di spada con ogni essere vivente che era in essa; non vi lasciò alcun superstite”, e così per le città di Lachis, Ghezer, Eglon, Ebron, Debir, Cazor... tutte devastate e accompagnate dal lugubre ritornello “non lasciò alcun superstite” (Gs 10,28ss.).
Però, una volta stabilitisi nella Terra promessa, essa si rivelò un po’ stretta per gli Ebrei. Anche questa volta non c’è alcun problema: basta farsi largo a gomitate scacciando gli scomodi vicini…
Dall'archeologia si scopre che questi insediamenti in realtà non sono avvenuti come narrato dalla Bibbia, cioè in maniera cruenta e rapida, ma lentamente e nel tempo: quanto scritto non è la memoria viva dell'avvenimento, ma una ricostruzione politico-religiosa di Israele, che nel bisogno di lanciarsi verso ulteriori conquiste si giustifica riscrivendo la sua storia per dimostrare che fin dagli inizi era stato così, trasformando i testi sacri in una sorta di libro del catasto che legittimava il possesso della terra.
I racconti del Libro del Deuteronomio non sono una cronaca degli avvenimenti successi, ma vengono scritti al tempo di Giosia (640-609 a.C.) per giustificare teologicamente le pretese di questo re che vuole estendere i propri confini e ricostruire il regno di Davide. Giosia infatti attribuisce questa espansione al Signore: è Dio che lo vuole! E se lo vuole lui, tutto è permesso.
I confinanti protestano?
Non sono d'accordo col volere del Dio di Israele?
E allora si eliminano... tutti, proprio tutti.
È nella Bibbia, addirittura posta in bocca a Dio stesso, che compare per la prima volta l’orrenda parola “sterminio” [ebr. cherem], da praticare contro tutti i conquistati: “Nelle città di questi popoli che il Signore tuo Dio ti dà in eredità, non lascerai in vita alcun essere che respiri; ma li voterai allo sterminio: cioè gli Hittiti, gli Amorrei, i Cananei, i Perizziti, gli Evei e i Gebusei, come il Signore tuo Dio ti ha comandato di fare” (Dt 20,16-18).
Per i redattori degli avvenimenti, Dio non solo è complice in quest'opera di totale annientamento ma, per renderlo possibile, l’Onnipotente sconvolge le leggi della natura da lui stesso create e collaudate.
Perché il massacro continui  giunge addirittura a fermare il sole, affinché ci sia luce abbastanza per infilzare tutti quanti: “Si fermò il sole e la luna rimase immobile finché il popolo non si vendicò dei nemici” (Gs 10,13).
Un Dio crudele?
Ma no, anzi, un tenerone, un ecologista ante litteram, che dopo aver deciso lo sterminio di intere popolazioni si preoccupa degli alberi: “Quando cingerai d'assedio una città per lungo tempo, per espugnarla e conquistarla, non ne distruggerai gli alberi colpendoli con la scure; ne mangerai il frutto, ma non li taglierai: l'albero della campagna è forse un uomo, per essere coinvolto nell'assedio?” (Dt 20,19-20).
Gli alberi vanno risparmiati, le persone no, in alcun modo, e quando ciò succede si scatena l’ira del terribile Mosè, che “si adirò contro i comandanti dell'esercito... Avete lasciato in vita tutte le femmine? ... Ora uccidete ogni maschio tra i fanciulli e uccidete ogni donna che si è unita con un uomo” (Nm 31,14-17).
È lo stesso Mosè che, sceso dal Sinai dopo essere stato faccia a faccia col Signore, aveva fatto una strage ordinando ai suoi fedelissimi seguaci il primo pogrom della storia: “Dice il Signore, il Dio d'Israele: ciascuno di voi tenga la spada al fianco. Passate e ripassate nell'accampamento da una porta all'altra: uccida ognuno il proprio fratello, ognuno il proprio amico, ognuno il proprio vicino... e in quel giorno perirono circa tremila uomini del popolo” (Es 32,27-28).
Non meraviglia che l'elogio che la Bibbia fa di Mosè si concluda magnificando “il terrore grande” con cui aveva operato (Dt 34,12).
Stranamente, dell'esodo viene esaltato il miracolo della manna e delle quaglie nel deserto,  ma non la strage che ne seguì: “la carne era ancora fra i loro denti e non era ancora stata masticata, quando l’ira del Signore si accese contro il popolo e il Signore percosse il popolo con una gravissima piaga. Quel luogo fu chiamato Kibrot-Taavà, perché là seppellirono il popolo che si era abbandonato all'ingordigia” (Nm 11,33-34).
Ugualmente si ricorda il miracolo del serpente di rame ma non i motivi: “Allora il Signore mandò fra il popolo serpenti velenosi i quali mordevano la gente e un gran numero d'Israeliti morì” (Nm 21,6). Niente al confronto dei ventiquattromila che morirono nella strage scatenata quando “Israele aderì al culto di Baal-Peor e l'ira del Signore si accese contro Israele” (Nm 25,3.9).
Un Dio, questo, pericoloso non solo per i nemici del suo popolo, ma pure per la sua stessa gente, al punto che per tentare di calmarlo Mosè lo avverte che di questo passo rischia di perdere la reputazione: “Se fai perire questo popolo come un solo uomo, le nazioni che hanno udito la tua fama, diranno: Siccome il Signore non riusciva a condurre questo popolo nella terra che aveva giurato di dargli, li ha massacrati nel deserto” (Nm 14,15-16; Es 32,12).
È importante, quindi, stabilire in quale Dio si crede, perché dovendo assomigliargli, se si crede in un Signore violento, seppure di una brutalità esercitata sui peccatori, inevitabilmente si sarà poi portati non solo a legittimare la violenza, ma a credere che praticarla sia doveroso (“Verrà l'ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio”, Gv 16,2). Si riescono così a coniugare, senza alcun problema, rancore e preghiera, livore e lode, come appare dai Salmi, dove, in almeno un centinaio di essi (su centocinquanta) si invoca Dio contro i nemici.
Credendo in un Dio capace di maledire, pure il fedele maledice.
È esemplare, a riguardo, il salmo 109, dove il salmista riesce a contrabbandare un solenne travaso di bile per devota lode al Padreterno, chiedendo per il suo nemico: “Suscita un empio contro di lui e un accusatore stia alla sua destra. Citato in giudizio, risulti colpevole e il suo appello si risolva in condanna. Pochi siano i suoi giorni e il suo posto l'occupi un altro”.
Potrebbe bastare come sfogo?
No.
Una volta iniziata la corsa è difficile fermarsi, ed ecco continuare il salmo: “I suoi figli rimangano orfani e vedova sua moglie. Vadano raminghi i suoi figli, mendicando, siano espulsi dalle loro case in rovina. L'usuraio divori tutti i suoi averi e gli estranei faccian preda del suo lavoro. Nessuno gli usi misericordia, nessuno abbia pietà dei suoi orfani. La sua discendenza sia votata allo sterminio e nella generazione che segue sia cancellato il suo nome. L'iniquità dei suoi padri sia ricordata al Signore, il peccato di sua madre non sia mai cancellato. Siano davanti al Signore sempre ed egli disperda dalla terra il loro ricordo. La maledizione sia per lui come vestito che lo avvolge, come cintura che sempre lo cinge”.
Amen!
Un delinquente l'autore di questo salmo?
Macché!
Una persona pia, che termina questa incredibile sequela di imprecazioni con un devoto “Alta risuoni sulle mie labbra la lode del Signore, lo esalterò in una grande assemblea”.
Poi ci penseranno i profeti a tentare di modificare questa immagine del Signore, iniziando un processo di trasformazione che vedrà il suo culmine in Gesù. Lui cancellerà per sempre dal volto di  Dio ogni violenza e presenterà un Padre che è esclusivamente amore e che chiede di disinnescare sentimenti di ostilità e di rancore, mettendo come condizione previa alla preghiera il perdono delle colpe: “Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati” (Mc 11,25; cf Mt 6,14-15). Un Padre che mai castiga ma sempre perdona.

Image credits: Edgar Beltrán / The Pillar

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