IV DOMENICA DI PASQUA ANNO C

08-05-2022 - Preghiere poesie

IV DOMENICA DI PASQUA ANNO C  con preghiera dei piccoli

 

Giovanni, 10, 27 -30

 In quel tempo, Gesù disse: 27 «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28 Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29 Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30 Io e il Padre siamo una cosa sola.»

 

La ragione per cui abbiamo due orecchie e una sola bocca è che dobbiamo ascoltare di più e parlare di meno”, affermava il filosofo Zenone tre secoli prima della nascita di Gesù. Ma perché spesso accade il contrario e si parla molto di più di quanto si ascolti? Perché parlare (di sé!) oltre che meno faticoso e meno impegnativo dell’ascoltare, è anche, apparentemente, rassicurante perché illude di essere nel vero. Chi con il suo continuo parlare si mette in condizioni di non ascoltare gli altri, di fatto abusa della sua bocca per fissare, nel suo cuore e nella sua mente, fragili convinzioni che non vorrebbe più cambiare. Ed è il motivo per cui chi parla tanto e ascolta poco è – obbligatoriamente – rigido nelle idee, incapace di dialogare e così chiuso in sé stesso da utilizzare solo e sempre il suo “io” come unità di misura del mondo. E se chi parla troppo incontra un “chiacchierone” simile a lui e poco disposto ad ascoltare? In questo caso inizia a “gridare” e a “urlare” per entrare, con lui, nella sfera della violenza verbale a cui televisioni e dibattiti vari ci hanno, purtroppo, abituati.

Ascoltare è molto più faticoso. Impone l’arte del fare silenzio e del sospendere giudizi che spesso risultano affrettati, superficiali e sbagliati. Obbliga – prima o poi – ad apprendere la difficile arte dell’empatia (mettersi nei panni dell’altro) e dunque ad anteporre l’altro a quel’ “io” che, se non ridimensionato, diventa ingombrante, fastidioso e pericoloso per tutti. Sembra un paradosso, ma il solo modo per imparare a parlare (bene) è dato dal coraggio del fare silenzio, dell’ascoltare e del dichiararsi bisognosi di imparare. Solo così si riesce a “discernere” tra i tanti rumori e le tante “voci” (moltissime delle quali inutili) che si affollano sulla nostra vita.

Con soli tre versetti il Vangelo di Giovanni che la chiesa ci propone per questa quarta domenica di Pasqua ci ricorda che Gesù è il Pastore buono/bello (l’unico) che sa “parlare” al nostro cuore, che ci insegna ad ascoltare e che scioglie la nostra lingua per abilitarci a dire parole vere.

La similitudine utilizzata da Gesù è quasi imbarazzante. Il rabbì di Nazaret definisce l’intera umanità un gregge formato da pecore chiamate ad ascoltare la Sua voce. E considerato che dal punto di vista economico il gregge rappresentava, per la cultura dei pastori di un tempo, la sola ricchezza possibile, significa che Gesù si è reso povero nell’avere e nel possedere, ma non ha rinunciato alla “ricchezza” data dall’amare e dal prendersi cura dell’intera umanità.

 Ancora una riflessione: l’immagine della pecora non è la prima che affiora nella nostra mente quando ognuno di noi pensa a sé stesso. Nessun bambino si identifica con la pecora nel gioco dell’identificare sé stesso con un animale. Leone, tigre, aquila, cavallo o delfino sono animali che evocano immediatamente forza, eleganza e bellezza. Gesù però ha scelto di farsi Agnello per noi e proprio per questo non ha nessuna difficoltà a definirci “gregge e pecore”. Perché si è fatto come noi per aiutarci a diventare come Lui: forti nell’amore, liberi del dare e determinati nel perdonare. Non è offensivo essere pecore. È fonte di sofferenza essere pecore che seguono, che ascoltano e che si affidano alle “voci” false di “banditi e briganti” che sfruttano la vita degli altri anziché – come fa il Buon Pastore – dare la propria per sue pecore.

Gesù è maestro vero e credibile perché prima di definirci “pecore” si è fatto “agnello”; Forte di questa coerenza, il Signore si presenta a noi come Pastore per portarci fuori dalle parole che non generano vita. Ci invita – senza sosta – ad ascoltare la sua “voce” perché ognuno di noi impari la bellezza del silenzio e – guidato dalla Sua Paola – la forza della pace, della nonviolenza e del perdono.

Le logore e stanche parole di guerra che tutti siamo stanchi di ascoltare in questi mesi (dove il parlare è finalizzato solo a dimostrare le strategie per “vincere”) sono la conferma che abbiamo un bisogno urgente di questo Vangelo e di Gesù Buon Pastore. Chissà se domani – 9 maggio, Festa dell’Europa e Giornata nazionale in memoria delle vittime del terrorismo interno – dovremo nuovamente ascoltare parole di guerra, di vittoria, di rancore, di armi e di violenza da usare per annientare il nemico! Se questo accadrà, è bene che il nostro cuore si ripeta – con l’aiuto del silenzio interiore ed esteriore – che “le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano”.

 

La preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                    appena ho ascoltato il Tuo discorso, mi sono detto: “Io non sono una pecora”. Anche perché quando noi bambini dobbiamo, per gioco, paragonarci ad un animale, nessuno sceglie la pecora. Di solito vogliamo essere un lupo, un leone, un delfino o un’aquila: animali forti, belli e vincenti.

Perché Gesù ci hai paragonato a delle pecore? Forse perché la forza e la ricchezza di un pastore era data – ai tuoi tempi – dal suo gregge. E più pecore possedeva un pastore e più era ricco.

Che bello Gesù, sei povero, ma la tua sola ricchezza siamo tutti noi: persone da amare, da seguire e da servire.

Sapere che Tu sei il Buon Pastore che ci conosce per nome, che si prende cura di noi e che ci protegge da ogni male mi dà tanta sicurezza.

 

P.S. In classe di mio fratello è arrivata una ragazza dell’Ucraina. Che brutta la guerra.