V DOMENICA DI QUAREISMA (Luca. 15,1 – 3.11-32)
“Bisognava fare festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita”
La parabola del Padre misericordioso (che un tempo era denominata Parabola del Figliol prodigo) oggi, forse, dovremmo presentarla come la Parabola dei due fratelli chiamati, dal Padre, a vivere bene la loro fraternità. Anche perché loro si osservano, si invidiano e si detestano a vicenda, ma non riescono a volersi bene. La parabola lo descrive molto bene questo meccanismo che appartiene da sempre (dai tempi di Caino e Abele) alla fraternità. Lo psicanalista Recalcati lo “spiega” con l’aiuto della psicologia: “il primo moto che orienta i legami tra i fratelli non è quello della fratellanza ma quello dell’odio e dell’inimicizia: l’odio è più antico dell’amore, il ripudio del fratello o della sorella più originario rispetto alla loro accoglienza. Questo per una ragione evidente: la nascita del fratello o della sorella impone un decentramento inevitabile alla vita del figlio, il quale è costretto a esporsi giocoforza al regime plurale del Due, all’impossibilità di essere un Uno tutto solo.”.
Senza la nascita del fratello minore, il primogenito non diventa fratello: resta figlio unico. E solo se lo accoglie come dono riesce ad aprirsi all’amore, alla comunione, al condividere e all’ascolto. È il secondogenito che “aiuta” il primo figlio ad uscire dall’individualismo.
Spesso e volentieri, però, il primogenito fa di tutto per restituire il dono del fratello al mittente, al Padre. “«Questo tuo figlio» io non lo volevo, non l’ho chiesto e adesso, per favore, toglimelo dai piedi”: così pensa chi non riesce ad aprirsi al fratello e così – quando può e se può – si esprime il figlio che ha nostalgia del suo essere figlio unico. Così facendo, però, rifiuta l’unico dono che lo rende “grande” nel cuore (e non solo il figlio più vecchio).
La parabola dei due fratelli è un Vangelo nel Vangelo di Luca. E ci presenta Dio non come un giudice o come un Re, ma come un Padre così buono che non fa preferenze: che accoglie tanto chi se ne è andato “divorando le sue sostanze con le prostitute” quanto chi – per invidia – non vuole entrare nella festa indetta per “il fratello morto e ora ritrovato”.
Ma può Dio essere come quel Padre, si domanda il lettore. Si. Dio è come questo Padre che, da un lato, “corre” incontro al figlio che è fuggito sprecando tutti i suoi averi e che, dall’altro lato, “uscì a supplicare” l’altro figlio che non vuole essere coinvolto nel ritorno del fratello. Si noti il particolare: il figlio prodigo non saluta il fratello maggiore prima di andarsene. Al ritorno però è il maggiore che non vuole né salutarlo, né vederlo. “Sente” la musica e le danze della festa e chiede ad uno dei servi che cosa sta accadendo. Il servo lo informa che è tornato “tuo fratello” (è la prima volta che, nella parabola, compare la parola “fratello”), ma poi alimenta la sua invidia con una mezza verità (la più insidiosa delle bugie): “Tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”.
Invidioso il piccolo, invidioso il grande. Ridotto a fare il “servo” chi ha chiesto la “sua” parte di eredità (a pascolare i porci!), ma incapace di pensarsi “figlio” anche il primogenito che si considera un “servo” del padre (“Ecco io ti servo da molti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando”). Entrambi alle prese con una solitudine che li ha chiusi nel loro doloroso e drammatico individualismo. Ma non è il dramma che rischiamo di vivere nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità e in un mondo che ha scelto la strada dell’odio, delle guerre e dell’ostilità anziché la via maestra della fraternità? Quante volte si investono più energie, più risorse e più soldi (in avvocati!) per dare libero seguito all’odio, al rancore e al litigio piuttosto che adoperarsi per farsi aiutare a diventare fratelli. Nei secoli scorsi – ci ha ricorda R. Benigni parlando di Europa – abbiamo preso coscienza che non siamo sudditi, ma cittadini. Adesso, alle soglie del terzo millennio, dobbiamo imparare a diventare fratelli e – come Europa – ricordare al mondo intero che siamo tutti fratelli.
Non ha senso ribadire che l’Europa ha radici cristiane se poi questa espressione viene utilizzata per costruire steccati tra un pezzo di mondo e l’altro, per costruire muri, respingimenti, allontanamenti o forme di razzismo più o meno esplicito.
Il Vangelo di questa domenica non solo ci dice che siamo tutti fratelli. Ma ci conferma che il Padre nostro che è nei cieli ci cerca là dove siamo: tra le infinite fatiche di fallimenti e prove che la vita dispensa a tutti. Il Padre ci attende ed esce per raggiungerci nel chiuso dell’orgoglio, dell’invidia e dell’avarizia generati dall’individualismo di chi si pensa solo e sempre figlio unico.
Dio ci cerca – ecco la buona notizia – per renderci realmente fratelli; per invitarci alla festa e per condividere con noi la Sua gioia per ogni realtà persa e ritrovata.
Buona quaresima.
Preghiera dei piccoli
Caro Gesù,
sul Vangelo della nonna il titolo di questo racconto è: “Parabola del Padre misericordioso”.
Mamma e papà mi hanno detto che una volta si chiamava la “Parabola del Figliol prodigo”. Ed oggi, a catechismo, il don l’ha definita la storia “dei due fratelli che a forza di invidiarsi non fanno festa insieme”.
Il fatto che si possa cambiare il titolo di una Tua parabola, è una cosa che a me piace tantissimo. Mi fa sentire più vicino quello che Tu ci hai insegnato.
Ti dico questo perché è da un po’ di tempo che litigo con mio fratello.
A volte sono io quello che inizio. Altre volte – però – è lui. E tutti e due diciamo a mamma e papà che loro preferiscono l’altro figlio!
Gesù aiutami a capire che solo con il tuo aiuto si diventa fratelli.
P.S. Gesù aiutaci a diventare tutti fratelli, come dice Papa Francesco.