La porta, il gemito, la luce. Il funerale di Michela Murgia

18-08-2023 - Notizie

La porta, il gemito, la luce. Il funerale di Michela Murgia
di Antonio Autiero*
in “www.finesettimana.org” del 15 agosto 2023

Questo testo è stato pubblicato su una edizione del quotidiano “la Stampa” del 15 agosto, con alcune variazione e con il titolo: “Le due voci del cuore di Murgia politica e religione per un unico sogno”
La sua volontà era ferma e chiara: Michela Murgia ha voluto che il suo fosse un funerale politico e che fosse celebrato nel rito religioso, cattolico.
Le esequie di sabato 12 agosto, nella chiesa romana degli artisti in Piazza del Popolo hanno tenuto insieme a modo loro i due elementi di questa volontà che non era affatto velleitaria, superficiale, ma esprimeva la duplice, indivisibile corda del cuore di Michela, del suo profilo di credente, del suo carattere di cittadina e del suo mestiere di scrittrice.
Certo, non mancano voci di sciacalli: quelli che imperversano nell’insinuare che tutto questo era ostentativo, sbordante, fuori luogo. Non ci si libera facilmente dai tanti povericristi che, nello spazio virtuale e non solo, appesi al chiodo della loro ignoranza e logorati dalla malafede, disseminano zizzania, sporcano i pensieri, minaccino la convivenza.
Ma chi come me era lá, nella gremita chiesa o nell’assolata piazza antestante, ha visto un’altra cosa, ha raccolto un altro messaggio, è stato attraversato da altri pensieri. Più puliti, più veri, più sani. Vivendo le ore intense di quel pomeriggio d’agosto, come amico da anni di Michela e a lungo in conversazione con lei su teologia, etica, forme di vita, ho capito e pensato ancora più a fondo la verità del legame tra i due aggettivi, da lei voluti per il suo funerale: politico e religioso. La cifra comune ai due sfondi è che non si vive da soli; per questo neppure si muore da soli. E che non ogni insieme crea comunità, ma solo quello che si esprime nella cura reciproca. Ci sono insiemi che – lo aveva scritto Michela tempo fa – producono gregge, ammassano le volontà, spengono le identità. E ci sono forme dello stare insieme che diventano vere perché prendono a cuore il sogno comune di una convivenza giusta, rispettosa di ciascuna e di ciascuno, nelle diversità che si mettono in sintonia. Proprio questo gioco di comunità è il terreno condiviso dall’esperienza religiosa e dall’esperienza politica. E fa di ambedue risorse che possono convivere, che non si escludono a vicenda. Al contrario, esse si riempiono reciprocamente di carica generativa e rendono vive le persone, giuste le istituzioni, bello il mondo.
Nella celebrazione del funerale del 12 agosto c’erano molti spunti che portavano la mente su queste prospettive che per altro hanno dato sostanza al pensiero e alla vita di Michela. I due poli espressivi avevano necessariamente linguaggi e grammatiche diversi, ma non si osteggiavano a vicenda: i testi della bibbia proclamati nella liturgia e scelti in assonanza alla visione religiosa di Michela stavano bene insieme alle orazioni pronunciate dai suoi amici, compagni di viaggio e familiari per via di amore. Il rimbalzo dalle letture bibliche di immagini come la porta, nel Vangelo di Giovanni, della luce, nella profezia di Isaia e del gemito in vista della libertà, della lezione paolina non erano altra cosa, rispetto alle vibranti parole di Roberto Saviano, all’estemporaneità di Lella Costa, alla originalità di Chiara Valerio, all’implorazione di Lorenzo Terenzi. Certo erano collocati su codici linguistici e generi letterari diversi, ma si accostavano allo stesso profondo monito, quel magma di eredità spirituale, intellettuale, politica, letteraria di Michela Murgia: imparare a stare insieme! Le radici delle parole lo rivelano a pieno: politica ha a che fare con costruzione di “polis”, di città che capisce le diversità e le sa coniugare a partire dal fondamentale riconoscimento della dignità di ogni essere umano. E religione ha a che fare con costruzione di “ekklesia”, cioè di spazio di convivenza di soggetti raccolti dai diversi angoli della realtà di vita, diversi non per natura, ma solo per quelle condizioni che producono disuguaglianza, svantaggio, marginalizzazione. Polis ed ekklesia si giocano le loro verità d’essere sul canone che le accomuna e che si esprime nell’impegno a ridurre le esclusioni e a generare inclusività. La porta e la sua soglia (una volta Michela ed io abbiamo fatto una lectio accademica in dialogo su questo tema) mettono davanti alla sfida radicale di cosa se ne vuole fare di essa, barriera per impedire o area di accoglienza. Molti si sono sentiti accolti da Michela, leggendo i suoi scritti e ascoltando le sue parole, si sono visti aperta una porta davanti, su orizzonti di maggiore luce, per dare esito di compimento e non di disfatta al gemito nel quale si sentivano avvolti.
L’intreccio tra religioso e politico che Michela ha voluto fosse espresso con il suo funerale era ed è in realtà un’istanza centrale del suo modo di stare al mondo ad occhi aperti, di abitarlo con responsabilità e cura, di trasformarlo con volontà tenace e non da sola. Per esprimere così la profondità del suo essere credente, la radicalità del suo essere cittadina. Vedendo a fondo l’intreccio, ella ha saputo esprimere l’indignazione sia per quelle visioni religiose che avevano scelto, legittimato e incrementato le vie dell’esclusione, sia per quegli abbozzi distorti di progetti e di programmi politici che dell’esclusione e dei privilegi fanno la base di raccolta per pescare nel bacino dei consensi. Ella ha voluto fare la sua parte: pensando ed operando dentro ai due poli dell’unico mondo che è quello dell’umano. Ha scardinato le immagini convenzionali del dio, maschio, vecchio, barbuto, così asservito dalle visioni e dalle prassi patriarcali di vita e ha fatto luce su un Dio che è relazione; non è piramide di anteposti e sottomessi, ma circuito di amore che include. E tutto questo si invera in volontà politica di richiamare al dovere di accoglienza e di giustizia. La sua traiettoria dalla teologia alla politica passava attraverso l’esperienza narrativa, fatta di volontà di comunicazione, letteraria e oltre. Così come il suo afflato politico le metteva sott’occhio il vissuto scabroso di quella parte di umanità dolente, esclusa, marginalizzata e le faceva trovare il linguaggio dei diritti da difendere e per cui battersi, come riflesso di quella luce, pathos di quel gemito e coscienza di quella porta, di cui lei, attraverso i testi biblici al suo funerale ancora avrebbe voluto parlarci. 
*professore emerito di teologia morale
Università di Münster (Germania)

Immagine: https://www.radioradicale.it/scheda/582025/stampa-e-regime?i=4023176
Autore: Radio Radicale