Preghiere poesie

XIV domenica Anno C

XIV domenica  Anno C  con preghiera dei piccoli

 

Luca 10, 1-12.17-20

«Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. 2Diceva loro: "La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! 3Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; 4non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. 5In qualunque casa entriate, prima dite: "Pace a questa casa!". 6Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. 7Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all'altra. 8Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, 9guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: "È vicino a voi il regno di Dio". 10Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: 11"Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino". 12Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città.17I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: "Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome". 18Egli disse loro: "Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. 19Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. 20Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli"».

La richiesta di Gesù, così come la riporta san Luca, non permette dubbi o ambiguità: Gesù vuole che si “cammini” insieme. Il richiamo al testo della Genesi in cui “il Signore Disse: «Non è bene che l’uomo sia solo»” (Gen. 2, 18) è evidente e immediato. Siamo fatti per vivere insieme, ci dice il Vangelo. E anche chi deve annunciare che il Dio di Gesù è con noi non deve allontanarsi da questo stile di vita che è, allo stesso tempo, “metodo” (andare insieme è il modo con cui ci si rende credibili) e “contenuto” (perché il senso della vita è dato dalla comunità e da quel “noi” che ha il non facile compito del frantumare tanto l’egoismo quanto quel pericoloso individualismo e che tutti conosciamo).

“A due a due” non è, perciò, semplice annotazione di come procedere su strade sconosciute per darsi reciproco aiuto. In quell’indicazione è racchiusa la sapienza della vita che ci ricorda che solo chi sceglie di abitare il “noi” riesce ad andare lontano (“Se vuoi andare veloce corri da solo, se vuoi andare lontano, vai insieme” recita un saggio proverbio africano”). Il che significa che la presenza di Dio in mezzo a noi (ciò che gli evangelisti chiamano il Regno di Dio) è reso visibile dal coraggio di praticare la comunione con gli altri, con l’aiuto anche del perdono reciproco. È vero: non sempre la convivenza è facile; non sempre si riescono ad evitare – all’interno della vita comunitaria – divisioni, invidie, gelosie, maldicenze o fatiche relazionali. Ma isolarsi da tutto e da tutti ed esaltare un individualismo estremo fatto di autoreferenzialità e di fragile narcisismo, è un rimedio peggiore del male. Quanta fatica c’è nel nostro “correre sempre da soli”! Quanta solitudine, quanta emarginazione e quanta depressione nascondono le nostre case quando queste sono sganciate da qualsiasi vita comunitaria.

Un dato concreto. Il 39,5% delle famiglie presenti nella città di Biella è composto da un solo componente. In cifre: su 20.488 famiglie che abitano a Biella, 8.113 sono “famiglie individuali”: formate, cioè, da una sola persona. Quasi quattro famiglie su dieci che, nella nostra città, non fanno esperienza di convivenza nella loro casa. Le cause possiamo immaginarle: lutti, separazioni, progetti di vita di coppia non ancora decollati o vere e proprie scelte. Segno di un occidente che sta invecchiando e di uno stile di vita che per molti aspetti riesce a fare a meno della vita comunitaria. Ieri non era così: la dimensione comunitaria era indispensabile per sopravvivere. Oggi chi può il pasto lo ordina al telefono (e operai poco pagati lo portano in bicicletta) altri, meno abbienti, sono aiutati da catering vari per impedire che la solitudine diventi abbandono. Resta il fatto che il mangiare sempre da soli non è sano. E forse anche per questo Papa Francesco ha scelto la vita comunitaria in Vaticano e ha rifiutato l’isolamento dorato riservato al Pontefice: per essere in grado di andare “lontano” con il cuore e con la mente.

Ultima riflessione. Non appena i settantadue discepoli tornano carichi di entusiasmo, Gesù dice loro: “Non rallegratevi però perché i demoni s sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nel cielo.”. Per dire che chi sceglie di vivere la comunità con lo spirito di servizio verso il fratello più debole (e dunque consegna al potere la forma del servizio che si allontana dal dominare!) fa profonda esperienza di gioia e scopre che il suo nome è scritto nel Cielo, nel cuore di Dio.

Quanti bambini, ragazzi e giovani sognano che il loro nome diventi famoso (nel mondo dello sport, dello spettacolo, degli influencer, etc.)! Sognare di diventare “buoni” per aiutare chi è più bisognoso, non è più di moda. Fama e notorietà, però, non sempre immergono nella gioia vera (quasi mai) e il nome lo scrivono sulla sabbia che sparisce al primo colpo di vento.

Spendere l’esistenza per gli altri – al contrario – “rallegra” il cuore e consegna così tanto senso alla vita da renderla non solo piena, riuscita e realizzata ma con il proprio “nome” scritto nel cuore di Dio. Il solo modo per avere un nome e una esistenza che non ha più fine. Buona domenica e buon mese di luglio.

 

                                           Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                    a scuola quest’anno abbiamo imparato il proverbio africano che dice: “se vuoi andare veloce corri da solo, se vuoi andare lontano, vai insieme a qualcuno”.

E io sono così. Non mi piace andare a scuola, a calcio o in oratorio da solo.

Mia mamma mi critica perché non esco mai da solo, ma oggi mi sembra di aver capito che anche Tu ci dai ragione e che uscire “a due a due” non è sbagliato. 

Grazie Gesù anche perché hai scritto “nulla potrà danneggiarvi”.

Gesù aiuta i miei genitori ad avere meno paura. Del futuro, della strada, del lavoro o di non so quali pericoli.

Io so che con Te accanto le difficoltà si superano.

Gesù voglio essere anch’io uno dei 72.

Manda anche me nella tua messe.

E grazie ancora Gesù perché se scrivi il mio nome nel cielo, vuole dire che per Te io sono importante. 

 

XIII DOMENICA ANNO C

XIII DOMENICA  ANNO  C  con preghiera dei piccoli

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 9,51-62)

Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio. Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».

Gesù ha già iniziato la sua missione. Da settimane, forse da mesi è “fuori casa” alle prese con quel “camminare” per le strade della Palestina finalizzato ad annunciare il Regno di Dio. San Luca però ci spiazza e al capitolo nono del suo Vangelo scrive: “Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme”. Segno eloquente che la “decisione” che imposta la vita non la si prende una volta per tutte. Ma va continuamente alimentata, difesa e rinnovata per non ritrovarsi “stranieri” nel proprio procedere esistenziale. Gesù però oltre a rinnovare la sua scelta di incamminarsi verso il dono della sua vita che avverrà a Gerusalemme, invita anche i suoi discepoli a fare altrettanto. Gesù li ha già chiamati (mentre lavavano le reti – Lc. 5,1ss); loro hanno già aderito alla proposta di Gesù (“E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono” (Lc. 5,11). Ma anche loro – come il Maestro – devono nuovamente domandarsi se è loro intenzione affidarsi al  Signore Gesù che non promette loro una crociera senza intoppi e tutta riposo e svago, ma che ricorda a chi lo segue che il cammino non è esente da fatiche e che può anche condurre al sacrificio estremo della propria vita. Detto con parole semplici: Gesù ribadisce ai suoi che non basta l’entusiasmo per “immergersi” nella Sua sequela e che, proprio perché si tratta di un cammino impegnativo, è bene chiarire le condizioni del seguirLo.

A parole e in teoria è tutto chiaro. Non appena però gli abitanti di villaggi samaritani “non vollero ricevere Gesù perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme” i discepoli tirano fuori il meglio delle loro ambizioni: “Signore vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?”. Gesù non giudica e non condanna chi lo rifiuta e nemmeno chi lo metterà in croce. I suoi discepoli – però – si comportano da “padroni” del Progetto di Gesù e non solo vogliono prendere il posto del Maestro, ma si ritengono anche autorizzati a giudicare e a condannare (“bruciare”!) chi non li riconosce come importanti.

Quante volte succede a anche a noi. Diamo per scontato le scelte fatte ieri. Non le difendiamo. Non le rinnoviamo. Non le aggiorniamo alla luce della Parola di Gesù. E – di conseguenza – non le comprendiamo più. Le difficoltà le intendiamo come congiure contro di noi. Chi non ci capisce e chi non ci asseconda subito, lo vorremmo “bruciare” con il fuoco della nostra rabbia. Ma così facendo ci ritroviamo sempre più soli e depressi. E solo Dio sa quanta solitudine abita nelle nostre città e nelle nostre comunità.

Il Vangelo di san Luca ci invita ad uscire da questa solitudine e a fidarci del camminare al seguito del Maestro scomodo che si chiama Gesù. Non possiamo sentirci sempre “a posto”, “dalla parte della ragione” e profondamente convinti di non dover cambiare nulla della nostra vita. Gesù ci propone di impastare la nostra esistenza con il Suo Vangelo e di renderci disponibili a confrontarci con i grandi ostacoli che ci paralizzano il vivere.

Il primo ostacolo san Luca lo individua nell’abuso del “futuro”, del “dopo”, del “poi” o del “non adesso” (“Ti seguirò ovunque tu vada”). Fare “dopo” o “domani” ciò che ci rende veri e completi, vuole dire non farlo mai. E questo vale tanto per ciò che va tolto dalla nostra vita (come le nocive dipendenze che tutti conosciamo), quanto per quelle azioni che ci rendono più distesi e meno stressati, ma che siamo convinti che non abbiamo tempo di realizzare (penso alla lettura, alla meditazione e al pregare il Vangelo). Il secondo ostacolo è simile al primo, ma è legato al “passato” (“Permettimi di andare prima a seppellire mio padre”). Nulla, da parte di Gesù, contro il dovere dei riti funebri. Ma attenzione, chiede il Maestro, ad usare il passato come alibi per non assumersi le proprie responsabilità nell’oggi o a restare prigionieri della nostalgia (“ai miei tempi si faceva così, …”)  per non accogliere i cambiamenti che inevitabilmente sono presenti nel tempo presente. Terzo ostacolo: affetti disordinati e gestiti con modalità possessive (“Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia”). Quando “casa mia” diventa un assoluto che ha la precedenza su tutto e che autorizza a restare indifferenti al soffrire di chi non appartiene al proprio clan, si entra nell’aridità di chi non ha legami oltre l’uscio di casa e, proprio per questo, vive male anche le relazioni domestiche.

Gran bel programma per i mesi di luglio e di agosto che ci attendono per proporci riposo nel corpo e nello spirito. Buona domenica.

 

Preghiera dei piccoli

                  Caro Gesù,                                        

                  io assomiglio un po’ a quel tale che Ti ha detto: “Ti seguirò ovunque tu vada”. Anch’io tanto volte uso il futuro e faccio tutto … “domani”!

 “Poi”, “un altro giorno”, “più avanti”, “dopo”, sono queste le parole che usiamo spesso noi bambini. 

Grazie Gesù perché all’inizio dell’estate mi dai un forte scossone e mi ricordi che seguirTi al futuro non ci fa bene.

Tu mi chiedi di seguirTi “adesso”, “subito”, “oggi” e mi inviti a camminare con Te nel presente, non “domani”.

Gesù, oggi nel Vangelo di Luca, sembri severo e persino troppo esigente. Però hai ragione Tu: nel futuro molte volte si nasconde la pigrizia di chi rinvia a “dopo” ciò che quasi sicuramente non farà mai.

Ti prego Gesù: aiutami a vivere nel presente e a non scappare nel futuro.

P.S. Forse l’anno prossimo anch’io faccio, con i genitori, il viaggio in Terra Santa.

CORPUS DOMINI anno C

CORPUS DOMINI anno C  con preghiera dei piccoli

Dal vangelo secondo Luca (Lc 9,11-17)

In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a compare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

Guido Tallone:

Nel quarto libro della Bibbia – conosciuto come il Libro dei Numeri – si racconta che il popolo di Israele, stanco e sfinito nella traversata del deserto finalizzata a raggiungere la terra promessa, “cominciò a lamentarsi aspramente agli orecchi del Signore” (Numeri 11, 1). Mosè – la guida del popolo d’Israele – è sfinito. E anche con lui alza verso il Dio di Israele parole di protesta e di rimprovero: “Perché hai fatto del male al tuo servo? Perché non ho trovato grazia ai tuoi occhi, al punto di impormi il peso di tutto questo popolo? … Da dove prenderò la carne da dare a tutto questo popolo? Essi infatti si lamentano dietro a me, dicendo: «Dacci da mangiare carne!»” (Nm. 11, 11s).

San Luca conosce molto bene questo testo ed è su questa base narrativa che costruisce il suo racconto. E come Dio dona a Mosè settanta “anziani” incaricati di non farlo sentire solo nel difficile compito dello sfamare l’intero popolo d’Israele, così Gesù coinvolge i Dodici nel compito di dare da mangiare a tutta quella folla. Il tema è sempre lo stesso: c’è una folla, un popolo, una grande quantità di persone che ha fame e che non riesce a sfamarsi.

E ieri come oggi chi non riesce a mettere insieme il pranzo con la cena sta male, protesta, grida, impreca, scappa, emigra e tenta qualsiasi cosa pur di reperire cibo e sicurezza alimentare. Così è stato per il popolo nel deserto che teme di non saziare la fame, ma così è anche per la folla che segue Gesù: senza cibo e, dunque, alle prese, con lo stomaco vuoto. Alla fame fisica segue però, e puntualmente, la paura e, con questa, la logica del “si salvi chi può” e dell’“ognuno pensi a se stesso”.

La soluzione trovata dai Dodici è disumana. E loro non hanno nessun pudore a proporla a Gesù: manda via tutti; si aggiustino; noi non possiamo sfamare tutti. Gesù – ci dice san Luca – ha altre logiche e altri pensieri. Decisamente più umani. E fa capire a quanti sono stati scelti per stare con Lui che quando la gente ha fame anziché farsi dominare dalla paura e dall’egoismo (e dunque considerare la fame degli altri un problema che genera disagio a me|) è sempre bene fronteggiare quella ingiustizia “insieme”, in modo corale e comunitario. Per farsi carico del loro problema e per non doversi difendere dalla fame altrui!

La domanda è sempre la stessa: “Da dove prenderò la carne da dare a tutto questo popolo?”. Ma la risposta giusta è quella di Gesù: “Voi stessi date loro da mangiare”. Messaggio forte e chiaro. Quando l’altro ha fame e quando l’ingiustizia si manifesta ai tuoi occhi, non volgere lo sguardo dalla parte opposta e non delegare ad altri la soluzione a quel problema. Da solo nessuno può farsi carico della fame del popolo, ma nemmeno “congedando la folla perché si aggiusti” si risolve il loro problema. Semplicemente si decide di non vederlo e ci si illude che, così facendo, sia risolto.

Penso al nostro oggi. Penso al grano bloccato in silos, porti e su navi che non riesce a raggiungere chi ha fame per le oscure ragioni dell’orgoglio, della guerra, della violenza e del ricatto. Penso ai Popoli che sono a rischio di vedere peggiorare la loro miseria e che tra alcuni mesi si troveranno immersi, se le cose non si sbloccano, in quel deserto alimentare di chi non ha cibo per sé e per i suoi figli. Se a causa della logica assurda della guerra accadrà che milioni di persone si troveranno alle prese con la fame da quasi tutte le nostre comunità cristiane saliranno preghiere perché il Signore Gesù doni il cibo a chi soffre la fame. Ed è in quel momento che sarà utile ricorrere al Vangelo di san Luca per ricordare che il Signore Gesù desidera coinvolgerci nel Suo farsi carico dell’umanità ferita. Gesù Maestro chiede a noi di dare da mangiare a chi ha fame. Nessuno si spaventi. Gesù non dilata povertà e miserie. Gesù sa molto bene che quando pane e beni sono condivisi, non solo bastano per tutti, ma “tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.”. Proprio come dice la beatitudine: “beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati”.

Guerra e ingiustizia sono le due facce della stessa medaglia. Tocca anche a noi adoperarci per dare da mangiare a chi è senza cibo e fare il possibile perché mai il grano entri nelle trattative del potere esercitato da potenti interessati più a dominare che a servire l’umanità. Gesù che si è fatto pane per noi ci liberi dalla tentazione di usare il grano e la fame altrui per dominare e per imporre il nostro io sul fratello.

Buona festa del Corpus Domini a tutti.

                                                                                     Preghiera dei ragazzi

    Caro Gesù,

                      chissà quante volte mamma Maria ti avrà raccontato che quando Tu dovevi nascere tutti vi mandavano via perché per voi non c’era posto.

Per questo non hai accettato la richiesta dei tuoi apostoli di mandare via la folla che ti seguiva perché convinti che non toccasse loro occuparsi di sfamare tutta quella gente.

Gesù sei straordinario.

Tu chiedi a chi Ti segue di non allontanare mai chi sta male e chi non ha nulla per vivere.

Ti prego Gesù, fa in modo che il grano già raccolto e bloccato nei porti dell’Ucraina dall’esercito russo possa arrivare nei Paesi poveri.

Quanto mi piacerebbe andare dai potenti del mondo e dire loro quanto hai detto ai tuoi apostoli: “Voi stessi date loro da mangiare”.

Grazie Gesù perché sei buono come il pane e perché ci chiedi di farci pane per gli altri.

Grazie anche perché sta per iniziare l’estate.                                                                   

SANTISSIMA TRINITÀ anno C

SANTISSIMA TRINITÀ  anno C con preghiera dei piccoli

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 16,12-15)

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

Siamo fatti per stare in relazione e per vivere insieme. In comunione. Nei fatti – però – facciamo fatica a convivere. È sotto gli occhi di tutti: molte coppie “saltano” e chi ieri si dichiarava amore eterno oggi litiga nelle stanze degli avvocati e nelle aule del tribunale. Cominciano a “saltare” anche le seconde coppie: quelle nate dopo la burrasca di un primo matrimonio obbligate ad assistere alle stesse fragilità, alle uguali tensioni e alle contraddizioni già vissute. Ma si aprono crepe anche nei cerchi della famiglia allargata e se vuoi sentire parlare male di qualcuno basta andare da chi – ieri – era il suo migliore amico.

La domanda è obbligata: ma se stiamo male da soli, perché poi, quando abbiamo la possibilità della cosiddetta vita in comune, continuiamo a sperimentare divisioni, incomprensioni e solitudini? Il Pastore protestante Bonhoeffer direbbe perché il grande assente della nostra vita comunitaria è il perdono. E senza questa capacità di accogliere con amore la propria fragilità e quella dell’altro, qualsiasi convivenza diventa un inferno.

Condivido e rilancio. La mancanza del perdono nei nostri contesti comunitari è il segnale eloquente che abbiamo perso il solido riferimento a chi trasforma l’acqua del vivere insieme nel vino simbolo di reciproca accoglienza. Perché è questo il significato profondo del miracolo che Gesù, su richiesta di Maria, compie a Cana di Galilea: rendere (finalmente!) possibile la con-vivenza e portarla nello spazio della festa, della gioia e del perdono reciproco.

Senza la presenza del Signore Gesù e della Sua Parola, la nostra vita in comune diventa, quasi sempre, una lacerante competizione che spinge prima a litigare e poi a liberare il conflitto nelle tante forme che conosciamo: denunce, ricorsi legali, amicizia infranta, confidenze tradite, saluti negati, etc.. E basta guardare gli effetti indesiderati (ma purtroppo molto presenti) della vita condominiale nelle nostre città per capire quanto abbiamo bisogno del vino della comunione che solo Gesù offre e consegna a chi lo accoglie.

La solennità della Santissima Trinità posta al termine del tempo pasquale ci ricorda che siamo stati creati ad immagine e somiglianza del Dio che è relazione e circolazione d’amore. Dio non ama la solitudine, ci dice questa festa. Dio – ci comunica questa solennità – è equilibrio tra silenzio e ascolto, tra Parola e obbedienza data sempre nello spazio dell’amore. Ancora: la festa della santissima Trinità ci conferma che la comunione nel nostro convivere quotidiano è tanto più possibile e riuscita quanto più ognuno di noi si lascia accogliere dalla presenza – nella sua vita – dell’amore di Dio Padre che ci dona il Suo Figlio Gesù e che resta accanto a noi per sempre nel dono dello Spirito Santo.

Sono consapevole che per la nostra società scristianizzata questo linguaggio è poco comprensibile e lontano dalla mentalità di chi corre tra un canale all’altro del televisore perché stanco tanto delle scene di violenza e di morte che provengono dall’Ucraina aggredita dalla Russia quanto delle tribune elettorali che provano a spiegarci quesiti referendari che restano, di fatto, poco chiari e per addetti ai lavori. Lo so che il Vangelo non è più la luce che guida, che indirizza e che forma la nostra vita. E è per questo che la frase di Gesù riportata da san Giovanni: “lo Spirito della verità vi guiderà a tutta la verità” ci passa sopra e non riusciamo a portarla nel cuore.

Ma è proprio questo ciò che dobbiamo ritrovare: il gusto, la passione e la bellezza del camminare sui sentieri della verità che il Signore Gesù ci ha indicato: vivere – sotto la guida dello Spirito Santo – per gli altri per scoprire che oltre la soglia del nostro egoismo abita la pace. Continuiamo a discutere e a litigare su chi vince o su chi ha la verità.

Il Vangelo di Gesù ci insegna che la verità non la si possiede (mai) ma che la si può incontrare solo andando incontro all’altro perché vinca l’amore. Case famiglie, condomini, contesti di lavoro e comunità: oggi siamo tutti raggiunti dalla bella notizia che la vita comune è possibile e che stare insieme è la sola verità che ci fa stare bene. A patto che sia intrisa di perdono, guidata dalla sua Parola e immersa nell’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito santo. Il cosiddetto Gloria al Padre è la preghiera più breve, ma anche la più vera se facciamo diventare la nostra comunione la più bella lode data a Dio. Buona festa a tutti.

 

Caro Gesù,                                  Preghiera dei piccoli

                   sai cosa mi piace di Te? Che ci abbracci senza fare troppe prediche e al di là di come ci siamo comportati.  I grandi non fanno così. Loro ci abbracciano ma sempre con tante raccomandazioni a comportarci bene. E quando facciamo qualcosa che a loro non piace, la prima cosa che ci tolgono è l’abbraccio.   Tu non sei così. 

Ci abbracci sempre, ma soprattutto quando abbiamo sbagliato e quando abbiamo bisogno del Tuo perdono.

Quando faccio il segno della croce mi sento abbracciato da Te, Gesù, che mi consegni l’amore del Padre e la libertà del Tuo Spirito.

Grazie al segno della croce, Gesù, imparo ad abbracciare gli altri come Tu abbracci noi.

E capisco che Tu mi vuoi bene per quello che sono.   P.S. È finita la scuola Gesù, ma le guerre non finiscono mai. Ti  prego Gesù, fai finire il rumore delle armi.

DOMENICA DI PENTECOSTE

DOMENICA DI PENTECOSTE  con preghiera dei piccoli                         Giovanni 14,15-16. 23 -26

[In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli]: «Se mi amate, osserverete i miei

comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. […] Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

 

Marta (il nome è di fantasia) mi ha cercata perché anche nel nuovo condominio si stanno riproducendo le stesse logiche del suo precedente domicilio. “Non le parlo dell’indifferenza che caratterizza la vita condominiale, mi ha detto. Ciò che ritengo inaccettabile è lo spiarsi a vicenda, l’invidia che si tocca con mano tra un pianerottolo e l’altro, il litigare per ogni piccola scelta per arrivare poi al non parlarsi e al non salutarsi.”. Il marito di Marta vive la stessa condizione con la moglie di suo fratello. Da anni non si parlano e nei ritrovi obbligati della famiglia allargata, chi organizza deve inventare acrobazie infinite per evitare che le loro persone si incontrino.

Il cuore umano è fatto così: ha bisogno come il pane delle relazioni (senza le quali non si vive!). Una volta avviate, però, le “appoggia” sull’emotività, che – come è noto – non è base molto solida! Il risultato, quasi scontato, lo conosciamo: l’altro, su cui si era fatto affidamento, delude e si rivela una persona diversa da come si presentava (ambizioso, ipocrita, individualista, scorretto, etc.). Ed è a questo punto che si decide di depennare l’interessato dalla lista degli amici o dei parenti. Succede dappertutto: in famiglia come nel condominio; in comunità laiche e nei contesti ecclesiali; sui posti di lavoro e nei tanti gruppi che si frequentano. E chi si lamenta dell’altro – come Marta – è sempre profondamente convinto di aver ragione, di aver subito il torto e di non aver sbagliato nulla.

Non si capisce la solennità della Pentecoste senza questa (lunga) premessa.

Comunione e Pace tra parenti, amici, vicini di casa e Nazioni sorelle non sono mai frutto “solo” dell’impegno umano, di accordi internazionali e/o di convenzioni preparate da esperti. Se il Signore non costruisce la casa della comunione e dell’amicizia, invano ci sforziamo di stare bene con gli altri.

È Lui – il Signore Gesù – che prima ci educa alla Pace e al convivere nel segno dell’amore e poi ci consegna il Suo Spirito che ci rende capaci di superare non solo egoismi e rancori, ma anche quelle sterili convinzioni che ci costruiamo nella testa per non arrendersi alla bellezza del perdono. Quante volte il nostro “spirito” ci autoconvince che solo noi abbiamo ragione! Quante volte ci ripetiamo che chi ha torto è l’altro e che per nessun motivo al mondo siamo disposti a passare oltre l’offesa ricevuta.

Lo Spirito di Gesù parla altri linguaggi. Insegna logiche più umane e ricorda le sole Parole – quelle di Gesù – che ci rendono capaci di costruire la casa sulla roccia (“Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto” – Gv. 14,269).

E per capire che cosa succede quando lo Spirito di Gesù entra nelle nostre case, nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità, facciamoci aiutare dalla Prima Lettura tratta dagli Atti degli Apostoli. Lo Spirito di Gesù si abbatte impetuoso sulla casa dove i suoi discepoli si trovano alle prese con dubbi e paure. Si posa su ciascuno di loro e questi scoprono che grazie allo Spirito di Gesù riescono finalmente a capirsi. “Come mai – si domandano – ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell'Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio” (Atti 2,8-11).   Lo Spirito di Gesù non annulla le nostre diversità; non ci appiattisce in una uguaglianza da ciclostile e non ci condanna per le nostre quotidiane fragilità legate al convivere. Fa molto di più: ci insegna a stare insieme con la forza del perdono reciproco; ci educa al silenzio di chi, da una parte, sa ascoltare la Parola di Gesù e i bisogni dell’altro e – dall’altra parte – evita di parlare male degli assenti e alle loro spalle.

Lo Spirito di Gesù ci spinge a cambiare (per non diventare vecchi dentro) e a lasciare le nostre certezze quando queste sono infarcite di rancore, di odio e di ostilità.

Questo è il significato per la nostra vita della festa di Pentecoste: lo Spirito di Gesù si “abbatte” sulle nostre case per farle diventare dimore di Pace, di comunione, di gioia e di perdono. Buona festa a tutti.

                                                          Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,           

                     per spiegarci che la parola Pentecoste vuole dire “cinquanta giorni” (dopo Pasqua), la catechista ci ha chiesto di pensare al «pentagono»: il poligono dai cinque lati uguali. E al di là del numero dei giorni, Tu – in questa festa – ci doni il Tuo Spirito perché ci aiuti a “ricordare” non solo le cose di scuola, ma anche l’amore che Tu hai per noi e la forza della Tua Parola.

Non lo sapevo Gesù, ma oggi l’ho scoperto: è il cuore che “ricorda” e che trattiene per sempre i momenti belli della vita. Ti prego Gesù: con il Tuo Spirito entra nel mio cuore e fa che il Tuo Vangelo diventi la guida della mia vita.

Gesù, mercoledì finisce la scuola.

Grazie per le mie maestre, per i miei compagni, per Caterina (la bidella del piano che è bravissima) e per tutti quelli che lavorano per noi.                                      

ASCENSIONE DI GESU’ ANNO C con preghiera dei piccoli

     ASCENSIONE DI GESU’  ANNO C    con preghiera dei piccoli

 

Luca 24, 46-53

 «Gesù disse loro: Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni. 49Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto.50Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. 51Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. 52Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia 53e stavano sempre nel tempio lodando Dio».

 

È interessante constatare come tanto gli osservatori esterni quanto i diretti interessati si esprimano – in riferimento all’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin – utilizzando la categoria della vittoria. Per la Presidente della Comunità Europea è l’Ucraina che deve “vincere” questo conflitto ingiustamente subito. Le autorità russe dichiarano però che “chi sostiene che la Russia potrebbe “non vincere” questa “guerra” dimostra che non conosce la storia”. Gli ucraini si difendono… “per vincere”. Il cuore umano è fatto così: la spinta a fare bene che si trova impressa in ognuno di noi si trasforma, se non si è vigili e attenti, in quella fame e sete di vittoria che stravolge letteralmente il senso del vivere.

Anche perché il senso della vita non è dalla vittoria ad ogni costo; non siamo venuti al mondo per “vincere”, ma per amare, per fare il bene e per realizzare quella giustizia che – sola – rende il mondo un giardino. Ecco perché nelle Sue beatitudini Gesù ci invita a plasmare la nostra forza interiore con “fame e sete di giustizia”: perché nell’accogliere il debole, del difendere l’oppresso, nello stare dalla parte di chi perde e nel decidere di non armare la propria mano contro l’altro, ognuno di noi trova il sentiero della sua libertà e la strada che lo porta da essere – con i fratelli – beato. Quando il vincere diventa l’imperativo assoluto del vivere, l’esistenza tutta entra in quella conflittualità che genera le guerre che rendono il pianeta un inferno, anziché un giardino.

Alla luce di questa premessa diventa liberante celebrare la solennità dell’Ascensione del Signore Gesù in Cielo. Anche perché in Cielo e presso Dio non viene “portato” il Re “vincente”, l’Imperatore che ha dominato più degli altri o il condottiero invincibile che ha sconfitto (e sottomesso) ogni nemico. Dio accoglie nel Suo Regno il suo Figlio Gesù perdente e sconfitto: crocifisso e deposto dalla croce come un malfattore.

Con la solennità dell’Ascensione siamo chiamati a prendere coscienza che le porte del Cielo si spalancano sulla nostra umanità per accogliere la logica dell’amare, del servire, del perdonare, del dare la vita e dello spendersi per gli altri senza mai fare uso della violenza.

È questa la “Buona Notizia” di questa festa dal nome un po’ strano e dal significato teologico non immediato: Terra e Cielo non sono separati e contrapposti. Non è vero che il mondo di Dio (il Cielo) è sordo alle nostre suppliche o indifferente ai drammi che si consumano sulla nostra Terra. “Ma perché Dio non interviene e non ferma la mano di chi arma il mondo e di chi aggredisce l’altro?”, ci domandiamo spesso nelle nostre preghiere.

Dio ha scelto di non coinvolgersi nella nostra storia come un burattinaio che cambia il corso degli eventi e – per amore – ha deciso di rispettare la nostra libertà. Ci ha donato però il Suo Figlio Gesù. Che ha toccato con mano l’aggressione della Sua terra da parte dell’Impero Romano. In molti gli hanno chiesto di essere il Messia che porta alla vittoria – contro l’aggressore – il popolo di Israele. Gesù ha optato per la strada dell’amore, del perdono e della nonviolenza. Con la sua vita e con la sua passione, morte e resurrezione ci ha testimoniato che ciò che genera pace e giustizia in terra è la nostra capacità di spostare la voglia di vincere sul crinale del fare il bene per far vivere l’altro. E si noti la finezza: per convincere i suoi discepoli che con la Sua resurrezione Gesù ha definitivamente aperto il Cielo alla Terra, il Risorto ha condotto i suoi discepoli a Betania e da lì ha aperto la strada della terra al Cielo di Dio. Betania è un piccolo villaggio collocato a poca distanza da Gerusalemme dove Gesù ha fatto la profonda esperienza dell’amicizia (a casa di Marta, Maria e Lazzaro), dove si recava spesso per riposarsi, per riprendere le forze, ma anche per piangere l’amico Lazzaro morto e dove ha vissuto la faticosa esperienza dell’arresto, dell’agonia e dell’abbandono.

A Betania Gesù risorto che sale al Cielo, consegna al Padre tutta la sua esistenza e, di conseguenza, tutto ciò che noi siamo e tutto ciò che noi viviamo. È tutta la nostra esistenza che con Gesù risorto sale presso Dio.

Gagarin ha affermato, osservando il “cielo” dalla sua navicella spaziale, che non ha visto Dio. Anche perché Dio ha scelto – con il dono del Suo Figlio Gesù all’umanità – di “abitare” la nostra Terra (non le vuote galassie) e di restare, con il Suo Spirito, per sempre con noi per aiutarci a stare dalla parte di chi perde, di chi è debole, di chi è oppresso e per fare avanzare la forza della giustizia lungo i sentieri della nostra esistenza.

Dio ci ha insegnato, con il Suo Figlio Gesù, la grammatica dell’amore che si rende vero solo se diventa capace di “staccarsi” dall’altro senza mai usarlo, dominarlo o desiderare di possederlo. Buona Festa dell’Ascensione a tutti.

 

Caro Gesù,

                     ho visto sulla cartina geografica della Palestina che Betania è vicina a Gerusalemme. E ho pensato a Te che andavi a piedi a casa di Marta, Maria e di Lazzaro.

Ti recavi da loro per riprendere forza per la Tua missione e per stare con i tuoi amici. A Betania però hai pianto quando è morto Lazzaro.

Secondo me è per questo che la Tua ultima benedizione l’hai data a Betania: per farci capire che Tu porti in Cielo, presso Dio, i momenti belli della nostra vita, ma anche quelli “brutti”, segnati da lacrime, dolore o errori.

Sei forte Gesù. Con la scelta di Betania hai unito Terra e Cielo per sempre.

Aiutami, Gesù, a trovare pezzi di Cielo quando cammino su questa Terra e soprattutto insegnami a non cercarti “in alto”, ma sempre accanto a noi.

 

P.S. Grazie Gesù anche per la Festa della Repubblica.

VI DOMENICA DI PASQUA ANNO C

VI DOMENICA DI PASQUA ANNO C con preghiera dei piccoli

Giovanni 14, 23-29

 

«23 [In quel tempo Gesù disse] «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. 25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. 27Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. 28Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. 29Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».

 

Sul fatto che ciascuno di noi abbia bisogno come il pane della “pace” non ci sono dubbi. La discussione inizia quando ci domandiamo “come” e “con quali strategie” cerchiamo di procurarci la pace.

Alcuni sono convinti che solo le armi, l’ordine militare e la repressione siano in grado di garantire la pace. L’esperienza ci dimostra che eserciti e armi sempre più potenti non costruiscono pace, ma alimentano guerre all’infinito.

Altri preferiscono puntare sul libero mercato perché sono profondamente convinti che ricchezza, soldi e benessere siano in grado – da soli – di garantire la mia e nostra “pace”. La storia ci insegna però che senza giustizia, senza libertà e senza solidarietà non ci sarà mai pace, ma solo scontro tra egoismi che difendono privilegi.

Altri ancora – nel piccolo come nel grande – si illudono di dare radici e forza alla pace appoggiandosi sulla bugia e sulla menzogna, per cui basta non dire, negare, nascondere o mentire per garantire alla coppia, in famiglia, sul lavoro o alla propria comunità un buon livello di armonia e di pace. Senza verità, però, non ci sarà mai pace, ma solo ipocrisia e falsità che ammalano, aggrediscono e corrodono qualsiasi convivenza.

C’è infine chi è persuaso che la pace sia un qualcosa che riguarda solo lui, la sua famiglia e il suo giardino. Ma è proprio perché sono in troppi che si chiudono nel “mio” che scoppiano le guerre. Siamo salvati dal “nostro”, non dal “mio”.

Esperto conoscitore del cuore umano, Gesù Maestro ci invita ad andare oltre le nostre concezioni di “pace” (con la “p” minuscola) per accogliere, in dono, la “sua” Pace (con la “P” maiuscola). L’evangelista non poteva essere più esplicito: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi.”. La Pace che Gesù ci consegna è più ampia e più vera rispetto alla pace che ci costruiamo noi con i mattoni delle armi, dei soldi, delle bugie e dell’egoismo. La Pace che Gesù ci dona è la presenza stessa del Suo Spirito che dal di dentro ci muove per renderci capaci di perdonare, di abbracciare anche (soprattutto) i limiti dell’altro e che ci spinge a contrastare il male ricevuto con il bene. La Pace che Gesù ci consegna ci spinge ad uscire dal “mio” giardino per ricordarci che ciò che ci rende beati è impegnarsi per costruire quel “giardino” in cui c’è posto per tutti e per ciascuno e dove tutti possono stare, abitare e riposare in libertà e giustizia.

Ancora una riflessione. Impossibile, in questi giorni, non associare la parola Pace all’aggressione dell’Ucraina da parte di Putin. Non so se sui libri di storia verrà ricordata come “guerra” o, più giustamente, come “invasione dell’Ucraina da parte della Russia”, so però che armi, carri armati, bombardamenti, trincee, prigionieri e morti (tanti, tantissimi, troppi da tutte le parti) non devono farci dimenticare che dobbiamo diventare operatori di Pace non solo per contrastare l’avanzare dei conflitti armati e delle guerre (che sono, in questo momento, circa 150!), ma anche nei nostri contesti familiari, lavorativi, sociali e nelle nostre comunità di vita. Mutismi, rancori, dispetti o parole dette alle spalle dell’interessato, non facilitano l’avanzare della Pace. Ostinarsi ad aspettare che a fare il primo passo sia sempre l’altro, non distende gli animi. Tenere chiuso il Vangelo e ridurre il tempo del pregare per paura che prima o poi lo Spirito spinga il mio cuore a perdonare, a fare il primo passo e a cercare chi non vorrei più vedere, è solo un modo per “resistere” all’avanzare della gioia nel mio cuore. La Pace che Gesù ci consegna fuga ogni nostra paura di cambiare e di perdonare. Ci apre alla vita libera e beata. E ci rende capaci di cambiare sguardo persino nei confronti della “sorella morte”, come la chiamava san Francesco.

Il discepolo di Gesù ama la vita in ogni sua condizione e manifestazione. Sa però che vivere per gli altri è la sola vita che non avrà più fine. Sa che l’amore ci immette in quella vita eterna che la morte fisica non spegne. Con “sorella morte” si interrompono le forze vitali del corpo (cuore, respiro e vita cerebrale), ma l’amore continua a vivere e ad abitare in quella Pace che lo Spirito di Gesù ha preparato per noi.

Da ripetere ogni giorno: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”, fino a quando questa preghiera non si impasta con il nostro respiro e con il nostro vivere e convivere.

Buona domenica.

 

                                                                          Preghiera dei piccoli

                     Caro Gesù,

                    quando ero piccolo pensavo che la Tu abitassi in Chiesa. Solo quest’anno ho capito che la Tua vera casa è in mezzo a noi.

E sai che cosa ho letto sul giornale di papà? Che in Italia sono più di 50.000 quelli che vivono sulla strada, senza casa. Il censimento italiano li chiama “popolazioni speciali”.

Quando piove, quando fa freddo o quando sono stanco penso sempre a chi non ha un tetto sulla testa.

Ti prego, Gesù, fa che nel mondo nessuno debba mai vivere senza casa.

Gesù, aiutaci ad ascoltare la Tua Parola e a metterla in pratica per fare del mondo una grande comunità dove tutti possono abitare la propria casa in pace con gli altri.

Grazie Gesù perché solo Tu hai la forza di trasformare qualsiasi “edificio” in una “casa” bella, calda e dove si sta bene.

Gesù donaci la Tua Pace.

V DOMENICA DI PASQUA anno C

V DOMENICA DI PASQUA  anno C con preghiera dei piccoli

Giovanni 13, 31-33a.34-35

 Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
«Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.

San Giovanni usa pochissime parole per descrivere la scelta di Giuda di “uscire” dalla comunione con Gesù e dal gruppo di cui faceva parte (“Quando Giuda fu uscito dal cenacolo, Gesù disse”. E presenta Giuda che si alza da tavola per abbandonare la mensa sulla quale ha condiviso l’ultimo pasto terreno di Gesù. “Ed era notte” (Gv. 13,30), annota l’evangelista. Per ribadire che tutte le volte che ci si alza dalla tavola di Gesù per fare scelte alternative a quelle proposte dal Maestro a quella mensa, si entra nel “buio” esistenziale che rende amara la vita.

Come non vedere nella “notte” di cui parla san Giovanni il tempo in cui siamo immersi anche noi. Dopo una pandemia che ha ferito l’intera umanità (e dalla quale non siamo ancora usciti) l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin ha riportato in Europa orrori che credevamo superati per sempre. Non ha senso abbandonare l’Ucraina al suo destino (e se qualcuno chiedesse questo si pone contro i valori della solidarietà, della fraternità e del reciproco aiuto sui quali è fondata l’Europa), ma non è ragionevole nemmeno armare fino ai denti chi ha il diritto e il dovere di difendersi con il rischio di innescare un’escalation di scontri armati che prima o poi trasforma la terza guerra mondiale a pezzi in un nuovo (il terzo!) conflitto mondiale.

Ed è “notte” proprio per questo. Perché le armi non generano (mai) luce, promesse di pace o spiragli di accordi, ma solo e sempre odio, rancore e distruzione di vite umane, di civiltà e di speranza. È “notte” perché sembra non esistano modalità di fermare il conflitto e perché la strada intrapresa per fermare il conflitto è ancora troppo lastricata di armi, bombe e di eserciti contrapposti. Ha però ragione Papa Francesco quando dice che la guerra è una pazzia e che le armi non portano la pace. Aveva ragione Papa Giovanni XXIII quando ricordava al mondo intero che la Pace (quella vera) si appoggia su quattro precisi pilastri: libertà, giustizia, verità e amore. Al di là di queste solide fondamenta non si costruisce la pace. E la tragica realtà di armi sempre più potenti ricorda a tutti noi che nel caso di una escalation che spinga ad usare anche il nucleare, ci ritroviamo tutti perdenti.

Oggi il Vangelo di san Giovanni ci consegna pochi versetti. Che ci ricordano, però, la verità fondamentale della vita: uscire dal cenacolo e dalla logica profondamente umana proposta da Gesù e dalla Sua Parola è movimento a forte rischio di immetterci nella notte. Non appena Giuda ha deciso di privilegiare il suo profitto, di vendere il Suo Maestro per poco denaro, di rompere la comunione con i “suoi” amici e di “sposare” la causa delle armi e dell’aggressore è iniziata – per lui – la notte dalla quale non ha saputo uscire.

Giuda ha rinunciato ad amare e, così facendo, ha perso la sua libertà. Non solo: con il suo tradimento Giuda è uscito dal solco della giustizia e tutto ripiegato su sé stesso non ha saputo chiedere scusa e nemmeno aprirsi all’amore che tutto perdona. Così facendo, però, si è reso incapace di guardare con verità alla sua fragilità e alla sua debolezza.

Sono tanti i bambini che in questi giorni, in tutta Italia, ricevono la Prima Comunione. Guidati dai loro sacerdoti e catechisti, accompagnati dai genitori e accolti dalle comunità cristiane chiedono di avvicinarsi a quel tavolo dove Gesù si fa pane per noi. Sono bambini che ci chiedono di donare loro – con l’aiuto di Gesù – la forza di queste quattro gambe su cui è fondata la tavola di Gesù: giustizia, liberà, verità e amore.  Valori intrecciati tra loro e indivisibili. A Giuda che esce dal cenacolo in cui Gesù lo aveva invitato, mi piace contrapporre quel ragazzino che ha saputo condividere il suo poco (cinque pani d’orzo e due pesci) per premettere a Gesù il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci.

Non abbiamo grandi strumenti per fermare una guerra assurda, folle e che genera solo distruzione e morte, ma possiamo offrire il nostro poco perché la prudenza, la cautela, il dialogo e la via diplomatica restino i sentieri privilegiati per sperare in un ragionevole cessate il fuoco a cui dovrà seguire quel compromesso che non permette a nessuna delle parti in causa di vincere, ma che non obbliga l’umanità perdere la speranza, la vita e la nostra civiltà. Buona domenica a tutti

 

                                                          Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                       ti faccio una confidenza: a volte chiudo gli occhi e mi vedo in uno stadio gremito di gente a correre a mani alzate dopo aver fatto goal. Altre volte mi immagino vincere in bici o con un microfono in mano, cantando.

Non so perché, ma questo tipo di “gloria” entra nella nostra testa prima della “Gloria” di cui parli Tu.

Tu però ci dici che la vera Gloria è data dal servire, dal donare, dal vivere per gli altri e dal perdonare.

E la guerra in Ucraina ci dice che hai ragione Tu: “vincere” ad ogni costo non crea nessuna gloria, ma costruisce solo distruzione e tanti morti.

Grazie Gesù. La tua Gloria non ci entra in testa. Ma se ci entra nel cuore ci fa vivere più sereni e in pace.

Grazie anche per il comandamento nuovo.

Voglio imparare ad amare come Tu ci ami.

IV DOMENICA DI PASQUA ANNO C

IV DOMENICA DI PASQUA ANNO C  con preghiera dei piccoli

 

Giovanni, 10, 27 -30

 In quel tempo, Gesù disse: 27 «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28 Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29 Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30 Io e il Padre siamo una cosa sola.»

 

La ragione per cui abbiamo due orecchie e una sola bocca è che dobbiamo ascoltare di più e parlare di meno”, affermava il filosofo Zenone tre secoli prima della nascita di Gesù. Ma perché spesso accade il contrario e si parla molto di più di quanto si ascolti? Perché parlare (di sé!) oltre che meno faticoso e meno impegnativo dell’ascoltare, è anche, apparentemente, rassicurante perché illude di essere nel vero. Chi con il suo continuo parlare si mette in condizioni di non ascoltare gli altri, di fatto abusa della sua bocca per fissare, nel suo cuore e nella sua mente, fragili convinzioni che non vorrebbe più cambiare. Ed è il motivo per cui chi parla tanto e ascolta poco è – obbligatoriamente – rigido nelle idee, incapace di dialogare e così chiuso in sé stesso da utilizzare solo e sempre il suo “io” come unità di misura del mondo. E se chi parla troppo incontra un “chiacchierone” simile a lui e poco disposto ad ascoltare? In questo caso inizia a “gridare” e a “urlare” per entrare, con lui, nella sfera della violenza verbale a cui televisioni e dibattiti vari ci hanno, purtroppo, abituati.

Ascoltare è molto più faticoso. Impone l’arte del fare silenzio e del sospendere giudizi che spesso risultano affrettati, superficiali e sbagliati. Obbliga – prima o poi – ad apprendere la difficile arte dell’empatia (mettersi nei panni dell’altro) e dunque ad anteporre l’altro a quel’ “io” che, se non ridimensionato, diventa ingombrante, fastidioso e pericoloso per tutti. Sembra un paradosso, ma il solo modo per imparare a parlare (bene) è dato dal coraggio del fare silenzio, dell’ascoltare e del dichiararsi bisognosi di imparare. Solo così si riesce a “discernere” tra i tanti rumori e le tante “voci” (moltissime delle quali inutili) che si affollano sulla nostra vita.

Con soli tre versetti il Vangelo di Giovanni che la chiesa ci propone per questa quarta domenica di Pasqua ci ricorda che Gesù è il Pastore buono/bello (l’unico) che sa “parlare” al nostro cuore, che ci insegna ad ascoltare e che scioglie la nostra lingua per abilitarci a dire parole vere.

La similitudine utilizzata da Gesù è quasi imbarazzante. Il rabbì di Nazaret definisce l’intera umanità un gregge formato da pecore chiamate ad ascoltare la Sua voce. E considerato che dal punto di vista economico il gregge rappresentava, per la cultura dei pastori di un tempo, la sola ricchezza possibile, significa che Gesù si è reso povero nell’avere e nel possedere, ma non ha rinunciato alla “ricchezza” data dall’amare e dal prendersi cura dell’intera umanità.

 Ancora una riflessione: l’immagine della pecora non è la prima che affiora nella nostra mente quando ognuno di noi pensa a sé stesso. Nessun bambino si identifica con la pecora nel gioco dell’identificare sé stesso con un animale. Leone, tigre, aquila, cavallo o delfino sono animali che evocano immediatamente forza, eleganza e bellezza. Gesù però ha scelto di farsi Agnello per noi e proprio per questo non ha nessuna difficoltà a definirci “gregge e pecore”. Perché si è fatto come noi per aiutarci a diventare come Lui: forti nell’amore, liberi del dare e determinati nel perdonare. Non è offensivo essere pecore. È fonte di sofferenza essere pecore che seguono, che ascoltano e che si affidano alle “voci” false di “banditi e briganti” che sfruttano la vita degli altri anziché – come fa il Buon Pastore – dare la propria per sue pecore.

Gesù è maestro vero e credibile perché prima di definirci “pecore” si è fatto “agnello”; Forte di questa coerenza, il Signore si presenta a noi come Pastore per portarci fuori dalle parole che non generano vita. Ci invita – senza sosta – ad ascoltare la sua “voce” perché ognuno di noi impari la bellezza del silenzio e – guidato dalla Sua Paola – la forza della pace, della nonviolenza e del perdono.

Le logore e stanche parole di guerra che tutti siamo stanchi di ascoltare in questi mesi (dove il parlare è finalizzato solo a dimostrare le strategie per “vincere”) sono la conferma che abbiamo un bisogno urgente di questo Vangelo e di Gesù Buon Pastore. Chissà se domani – 9 maggio, Festa dell’Europa e Giornata nazionale in memoria delle vittime del terrorismo interno – dovremo nuovamente ascoltare parole di guerra, di vittoria, di rancore, di armi e di violenza da usare per annientare il nemico! Se questo accadrà, è bene che il nostro cuore si ripeta – con l’aiuto del silenzio interiore ed esteriore – che “le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano”.

 

La preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                    appena ho ascoltato il Tuo discorso, mi sono detto: “Io non sono una pecora”. Anche perché quando noi bambini dobbiamo, per gioco, paragonarci ad un animale, nessuno sceglie la pecora. Di solito vogliamo essere un lupo, un leone, un delfino o un’aquila: animali forti, belli e vincenti.

Perché Gesù ci hai paragonato a delle pecore? Forse perché la forza e la ricchezza di un pastore era data – ai tuoi tempi – dal suo gregge. E più pecore possedeva un pastore e più era ricco.

Che bello Gesù, sei povero, ma la tua sola ricchezza siamo tutti noi: persone da amare, da seguire e da servire.

Sapere che Tu sei il Buon Pastore che ci conosce per nome, che si prende cura di noi e che ci protegge da ogni male mi dà tanta sicurezza.

 

P.S. In classe di mio fratello è arrivata una ragazza dell’Ucraina. Che brutta la guerra.

III DOMENICA DI PASQUA ANNO C

                III DOMENICA DI PASQUA  ANNO C  con preghiera dei piccoli

Giovanni 21, 1-19

«1Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: 2si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. 3Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. 7Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare.8Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri. 9Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. 10Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». 11Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. 12Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. 13Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. 14Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti. 15Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». 1a quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». 19Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

 

Secondo John Steinbeck “Le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone” e l’espressione serve all’autore americano per ribadire che il viaggio non è mai solo spostamento fisico, ma – prima di tutto – disponibilità a cambiare punto di vista e a crescere dentro. Ed è forse questa la saggezza che ci manca oggi. È vero: si viaggia molto più di ieri e siamo discretamente convinti che “l’auto renda liberi”, come diceva Giovanni Agnelli. Più in profondità – però – ci muoviamo molto, ma si rischia di essere sempre allo stesso posto: alle prese con le nostre paure, incertezze e insoddisfazioni. Siamo tentati di andare dove vogliamo (convinti che solo così ci liberiamo dai doveri che ci legano e che ci imprigionano), ma dobbiamo poi recarci dove vorremmo, ma dove dobbiamo esserci per dovere. Anche per questo suona come intensa, profetica e saggia la distinzione che Gesù propone a Simon Pietro tra “l’andare dove volevi” (quando eri più giovane) e il trovarsi portato “dove tu non vuoi” (quando sarai vecchio).

Schemi opposti. Anche perché a livello superficiale l’andare dove si vuole è l’esatta definizione della libertà. Ed è il classico schema mentale che caratterizza la mente degli adolescenti, dei giovani e di tanti adulti cresciuti a livello anagrafico, ma non troppo a livello di maturità. Andare e fare quello che si vuole è il sogno di chi ha fatto di sé stesso il baricentro del mondo. E che obbligatoriamente conduce, chi si è avventurato per questa strada, sulle spiagge della solitudine e della tristezza.

Più in profondità – però – le cose si complicano. Da un lato perché non siamo fatti per inseguire capricci o per rincorrere un benessere che è solo “mio”. Dall’altro lato perché siamo impastati dal “noi” e andare – da soli – per ritrovarsi poi senza affetti, senza amici, senza figli, genitori e grandi amori, significa scoprirsi lontani anche da sé stessi in un isolamento che imprigiona e che fa male.

Per questo Gesù prova a spiegare a Simon Pietro – e a chi si confronta con questa pagina di Vangelo - che il senso vero e profondo della libertà è esattamente l’opposto dell’andare dove si vuole. Libero è chi ha capito che solo dirigendosi verso altro – colui che dona il senso alla mia vita – si trova la pienezza che cerchiamo. Andare e “portarsi” dove il fratello è in difficoltà, dove il piccolo, il debole, l’indifeso e la vittima di ingiustizie e di aggressioni chiede aiuto, è il segreto della vita riuscita e la fonte trasparente della libertà.

Ancora qualche riflessione. Chi parla con Simon Pietro non è il Gesù terreno, ma il Signore Gesù risorto che sceglie di manifestarsi ai suoi discepoli per confermare tutto quanto, in vita, ha predicato, insegnato e testimoniato. Gesù aveva già spiegato ai suoi discepoli che si è veramente beati solo nel servizio e nel dare. Tutta la sua vita è stata una “parola” chiara e inequivocabile sul fatto che l’amore vince l’odio e che l’ultima parola della storia non è il male, ma il bene. Con la sua morte in croce poteva essere tutto finito: la tragica constatazione che il grande sogno di un amore più forte del male era ormai distrutto e svanito per sempre. Il mattino di Pasqua ha però spezzato la paura e l’angoscia di aver perso tutto. Per questo Gesù risorto si manifesta ai suoi: per portarli fuori dal buio, oltre la paura di non prendere nulla e soprattutto per offrire loro qualcosa da mangiare che sfama per davvero e per sempre.

Gesù risorto si manifesta dopo il mattino di Pasqua per consegnare, a chi ha scelto di seguirlo, la certezza che la pace è possibile, che odio, rancore e ritorsioni sono parole e pratiche inutili e nocive.

Gesù risorto si manifesta ai suoi perché insieme ripercorrano la sua vita e scelgano di stare – sempre insieme – all’interno del cenacolo per decidere poi di sostare là dove lui è morto per noi. Per far vincere la vita, la pace, il perdono, la giustizia e la bellezza della comunione.

Gesù risorto si manifesta ai suoi per insegnare anche a noi ad andare (gioiosamente) verso il figlio che sta male, in direzione dell’ammalato, del debole, etc. e smetterla di voler andare solo dove ci piace (per scoprire poi che non si è felici!).

Non sono l’unico a pensarlo: spostare le tante parole sull’aggressione della Russia all’Ucraina dai talk- show ai luoghi santi di Gerusalemme dove Gesù ci ha insegnato “ad andare dove non si vuole”, è itinerario di pace più coerente, concreto ed efficacia di tante parole. Buon tempo Pasquale.

 

                                             Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                    mia nonna è sempre allegra, ma – come dice mio nonno – non è mai in casa. È sempre in giro. Al martedì mattina distribuisce i vestiti a chi non ha nulla; al pomeriggio prima viene a prendermi a scuola, poi mi accompagna a casa e subito dopo va a preparare la cena per la mensa dei poveri. Ci accompagna a messa, fa la spesa per tutti (anche per mamma) e se c’è qualcuno che sta male, lei è sempre la prima ad arrivare.

Proprio come hai detto Tu a Simone: lei non va dove vuole, ma corre dove c’è qualcuno che sta male.

Grazie Gesù perché oggi mi hai insegnato che non è felice chi va dove vuole, ma solo chi va dove gli altri hanno bisogno di lui.

Grazie Gesù anche per la festa dei lavoratori.

E dona la Tua Pace a chi vive in Ucraina.

II DOMENICA DI PASQUA ANNO C

II DOMENICA DI PASQUA ANNO C con preghiera dei piccoli Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 20,19-31)

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Guido Tallone:

È nel Capitolo35 dei Promessi Sposi che Renzo ritrova – in un lazzaretto e dopo tante peripezie – Cristoforo. Il giovane sta cercando Lucia; l’anziano padre svolge il suo servizio tra gli ultimi, tra i colpiti dalla peste. Ed è inevitabile che non appena ritrovati i due parlino di Lucia. Renzo spera ancora di incontrare la sua amata in quel contesto di desolazione e morte, ma se non la trova – così confida all’amico francescano – si metterà a cercare il signorotto che li ha separati e “se la peste non ha già fatto giustizia… la farò io giustizia.”.

La reazione del religioso è immediata: “Sciagurato” gli grida prendendolo per un braccio. Dovrei ascoltare “le tue voci di rabbia e i tuoi proponimenti di vendetta” mentre chi sta morendo vuole ascoltare parole sul perdono di Dio? E mentre il giovane farfuglia qualcosa per difendere le sue tesi, Fra Cristoforo sferra l’attacco finale: “Zitto – interruppe il frate – credi tu che se ci fosse una buona ragione (per uccidere), io non l’avrei trovata in trent’anni”, lui che in passato aveva ucciso. Il seguito è commovente. Non esistono ragioni per giustificare la vendetta, spiega il padre al focoso e iroso Renzo. E visto che Dio può bloccare la mano di un prepotente, non si dimentichi che Dio può anche fermar la mano d’un vendicativo.

Ecco il dramma del cuore umano: definire “giustizia” la sete di vendetta. La quale illude, chi la compie, che restituire il male ricevuto faccia stare bene. In realtà l’atto vendicativo rende uguali al carnefice, non spegne l’odio presente nel cuore di chi la attua e accende infiniti sensi di colpa. Solo il perdono impedisce alla vendetta di devastare il cuore di chi ha subito il male. E si tratta di una riflessione relativamente facile da capire quando si parla di altri, di terze persone.

Chi non capisce come solo il perdono da ambedue le parti sarà in grado di fermare – prima o poi – quel mare di odio, di violenza, di distruzione e di voglia di vendetta che oramai si è insediata tra Nazioni sorelle come la Russia e l’Ucraina.

Quando chi deve perdonare è l’altro siamo tutti d’accordo. Quando però tocca a me, al sottoscritto, agire il perdono e superare il torto subito con forme di bene, le cose cambiano.

 

Ci si chiude nelle proprie presunte ragioni; come leoni in gabbia si cerca in tutti i modi di fare in modo che l’altro paghi le sue colpe, le espii e capisca in modo chiaro e definitivo l’odio covato contro di lui. Rabbia e vendetta spingono l’astio e il rancore sul sentiero dell’dio, dell’orgoglio e della violenza cieca: che rende incapaci di sentire ragioni, di cercare altre strade e di anche solo pensare che si possa perdonare.

Ma ecco la bellezza del dono di Dio: lo Spirito di Gesù risorto ferma la mano del vendicativo e dona – a chi è prigioniero delle sue logiche vendicative – la capacità di slegare il nostro cuore dalle catene generate dall’odio grazie al dono del perdono. Lo Spirito di Gesù risorto ci rende capaci di oltrepassare il torto ricevuto con forme di bene per scoprire che solo così si resta sulla strada dell’amore: la sola che ci fa sperimentare l’essere amati da Dio e di entrare nella gioia profonda di chi ha – finalmente – imparato ad amare.

Lo sappiamo: la qualità della nostra vita è avvelenata dai piccoli o grandi conflitti che ci ingarbugliano il cuore. Spingere gli altri a perdonare è più facile. Iniziare a pregare per chi ci ha fatto del male; non sparlare degli avversari che la vita ci ha messo davanti; non permettere all’antipatia o alla diversità di vedute di trasformarsi in quell’odio che alimenta la vendetta, è la vera, grande sfida della Pasqua. Per noi, oggi come per i discepoli, ieri: barricati nel cenacolo alle prese con le loro paure e le loro divisioni.

Quando intuisce difficoltà, chiusure o resistenze a far avanzare la logica dell’amore e del perdono, Gesù non chiede permesso. Irrompe nelle nostre comunità certamente per fermare la mano del vendicativo, ma anche per guidare il cuore affinché le nostre mani vengano usate, per accogliere chi sta male, per sostenere chi è solo, per visitare chi piange, chi è malato, chi è immigrato, profugo o carcerato.

Non possiamo dimenticarlo: il segno della Pasqua è il perdono. Ed il perdono è la premessa della Pace tra le nazioni e della pace nelle nostre case, famiglie e comunità. Senza mai dimenticare che il perdono è anche la fonte della gioia.

Buon tempo Pasquale.

Caro Gesù,                                        Preghiera dei piccoli

Tommaso (che non crede ai suoi amici, che vuole “vedere” prima di “credere” e che non si fida dei suoi compagni) a me è simpatico.

Forse perché anch’io sono un po’ come lui. Prima di “credere” io voglio sempre “vedere”.

Tu però oggi mi cambi modo di pensare. E mi ricordi che per aiutare l’altro a crescere bisogna credere in lui.

Tutte le volte che un educatore non crede in me e vuole mettermi alla prova, io reagisco male. Faccio l’opposto di quello che mi chiede.

Grazie Gesù perché Tu ti fidi di me prima di qualunque risultato.

Grazie Gesù perché questo Tuo credere in me mi dà davvero tanta forza (e mi insegna a fidarmi della vita e dei miei amici!).

Gesù, voglio dirTi anch’io, come ha fato Tommaso: “Mio Signore e mio Dio”.

 

P.S. : Aiutaci, Gesù, a credere nella nonviolenza e nella Pace.

DOMENICA DI PASQUA 2022

DOMENICA DI PASQUA  2022  con preghiera dei piccoli

 Giovanni  20, 1 - 9

1Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand'era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. 2Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!». 3Uscì allora Simon Pietro insieme all'altro discepolo, e si recarono al sepolcro. 4Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. 5Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò. 6Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, 7e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte. 8Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. 9Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti.

 

“Maria di Magdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio.”. Il “buio” di cui parla l’evangelista non descrive solo la distanza del cielo dall’aurora, ma “fotografa” molto bene la fatica, la sofferenza e la disperazione interiore di chi si muove in un sepolcro: dove mancano fiducia nell’umanità, pace e capacità di sperare.

Non è lo stesso “buio” che viviamo oggi? Penso agli Ucraini che da quasi due mesi sono costretti a convivere con l’indifendibile aggressione della Russia di Putin; a quanti sono stati uccisi, deportati, torturati e violentati o alle donne e ai bambini costretti a fuggire dal loro Paese per salvare la vita fisica. Penso agli immigrati che scappano da guerre meno vicine a noi e che dopo le “obbligate” torture subite nei campi di concentramento libici attraversano un mare che per molti diventa un sepolcro di acqua e senza pietre. Penso a quanti, tra noi, piangono per la rottura di un progetto d’amore; per la malattia o la morte di un figlio; per una disoccupazione che non finisce… .

Quanto buio e quante pietre che parlano solo di morte sono presenti anche oggi: duemila anni dopo al stesura di questa pagina.

Ed è per questo abbiamo bisogno (come il Pane!) di Pasqua e di speranza. Abbiamo bisogno di notizie positive (Vangelo significa “buona Notizia”) che ci aiutino a ritrovare le ragioni della speranza e la forza della vita capace di “fermare” tanto la morte quanto il male.

Nel mattino di Pasqua il Padre ha squarciato il buio e ha vinto la morte perché ognuno di noi possa avvertire la carezza del Dio di Gesù sulla sua vita.

Ma dove, come o con quali “passi” scorgere luce tra le fatiche di questi mesi? San Giovanni sembra indicarci un metodo che vale la pena “fissare” nel core e nella memoria.

  1. Continuare a cercare e a sperare nonostante tutto. Maria di Magdala è affranta. Ma mentre gli uomini sono ripiegati su se stessi, lei non smette di inseguire speranza e – sola contro tutti – va al sepolcro. Dove la morte sembra aver vinto.
  2. In presenza di segni difficili da comprendere (“la pietra era stata tolta dal sepolcro”), cerca aiuto ed esce dalla solitudine. Si rivolge a Pietro e a Giovanni.
  3. Insieme capiscono che la sola luce che disperde le tenebre è la Parola di Gesù: il suo Vangelo (“Non avevano ancora compreso la Scrittura”). Non stare lontani dal Vangelo. Non smettere di ascoltare il Vangelo, di leggere e di meditare questa Parola, di “pregare insieme” perché questa Parola si impasti con la nostra vita e ci cambi il modo di pensare e di vivere.
  4. Guardare al positivo. Riprendere il tanto di buono operato da Gesù e – finalmente – lasciare che la vita venga avvolta dalla voglia di bontà e non dalle spinte al male. Quante volte ci lasciamo quasi annegare da notizie solo negative e da sguardi inclinati vero il “buio”. Il metodo di Giovanni ci spinge a orientare il nostro punto di vista verso l’umanità di Gesù spesa solo per portare cure, compassione, speranza e perdono.
  5. Ritrovare la gioia della comunione intrisa anche di perdono. Anche perché senza il perdono degli uni su gli altri, la festa di Pasqua non inizia e non si avvera.
  6. Convincerci che la presenza del Dio di Gesù è vicino a noi: là dove siamo e dove molte volte non vorremmo essere o stare.

Dopo due anni di faticosa pandemia e dopo lo shock di un violentissimo conflitto armato alle porte di casa abbiamo bisogno di Pasqua. Abbiamo bisogno che sepolcro e buio lascino posto alla bontà, alla salute, alla nonviolenza e al nostro profondo desiderio di Pace.

San Giovanni ci conferma che è possibile e che Gesù risorto si fa trovare in un giardino per chiamarci per nome e per ricordarci che il senso della nostra vita è abitare – insieme – la terra perché questa diventi quel giardino che, purtroppo, troppe volte trasformiamo in un sepolcro.

Buona Pasqua a tutti, a ciascuno e in modo speciale a chi ha l’impressione che il “buio” della sua vita non riesca a diradarsi.

                                                                                             

                                                          Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                non è la prima volta che Simon Pietro è assieme ad un altro discepolo. Anche quando ti hanno arrestato erano in due: Pietro e l’altro discepolo (Gv. 18,15).

Adesso sono di nuovo loro due che, nel mattino di Pasqua, corrono verso il sepolcro. Pietro è più lento, ma l’altro discepolo si ferma e lo aspetta.

Gesù ti posso fare una domanda?

Considerato che chi scrive il Vangelo non ci ha detto come si chiama “l’altro discepolo”, posso mettere il mio nome quando leggo questi racconti?

Voglio diventare io quel discepolo. E sono sicuro che se imparo a fare, ad essere e a stare con Te come ha fatto quel discepolo senza nome, la mia vita sarà piena.

Abbiamo bisogno di Pace e di speranza.

Abbiamo bisogno che finisca l’aggressione dell’Ucraina; che gli immigrati trovino accoglienza là dove arrivano e che chi sta male guarisca.

Grazie, Gesù.