Il PATTO DELLE CATACOMBE DI DOMITILLA

24-07-2023 - Notizie

Ancora in grata memoria di Padre Luigi Bettazzi, MC

 

Il PATTO DELLE CATACOMBE DI DOMITILLA

 

Il Patto delle catacombe di Domitilla fu un patto firmato da alcuni vescovi,  soprattutto latino-americani, il 16 novembre 1965, pochi giorni prima della fine del Concilio Vaticano II, nelle catacombe di Domitilla.

 

Il documento era una sfida ai “fratelli nell'Episcopato” a portare avanti una “vita di povertà”, una Chiesa “serva e povera”, come aveva suggerito papa Giovanni XXIII.

 

I cinquantasette firmatari del Patto provenivano da quindici paesi diversi: ventisette dall’America Latina, dieci dall’Africa, nove dall’Asia, uno dal Canada, dieci dall’Europa tra cui quattro dalla Francia e uno dall’Italia (Mons. Luigi Bettazzi, all’epoca il più giovane vescovo al concilio).

 

Proprio Bettazzi ha rivelato che il testo del Patto fu scritto da Mons. Hélder Câmara che però non lo sottoscrisse quel 16 novembre perché impegnato in una riunione per la redazione finale della Gaudium et Spes.

 

Il 7 dicembre 1965, vigilia della conclusione del Concilio, il Patto fu consegnato a tutti i Padri conciliari (senza le firme dei sottoscrittori). Fu così che alle cinquasette firme iniziali se ne aggiunsero altre cinquecento, tra cui quella di Oscar Romero.

 

Il Patto delle Catacombe fu recapitato anche a Paolo VI dal cardinale Lercaro.

 

Tra i firmatari, nomi noti come dom Hélder Câmara, arcivescovo di Recife (Brasile), l'arcivescovo di Nazaret, Hakim, Massimo IV, patriarca di Antiochia, Leonidas Proaño, vescovo di Riobamba (Ecuador), famoso per la sua difesa dei campesinos; Enrique Angelelli, ausiliare di Cordoba (Argentina)...

 

TESTO DEL PATTO DI DOMITILLA

«Noi, vescovi riuniti nel Concilio Vaticano II, illuminati sulle mancanze della nostra vita di povertà secondo il Vangelo; sollecitati vicendevolmente ad una iniziativa nella quale ognuno di noi vorrebbe evitare la singolarità e la presunzione; in unione con tutti i nostri Fratelli nell’Episcopato, contando soprattutto sulla grazia e la forza di Nostro Signore Gesù Cristo, sulla preghiera dei fedeli e dei sacerdoti della nostre rispettive diocesi; ponendoci col pensiero e la preghiera davanti alla Trinità, alla Chiesa di Cristo e davanti ai sacerdoti e ai fedeli della nostre diocesi; nell’umiltà e nella coscienza della nostra debolezza, ma anche con tutta la determinazione e tutta la forza di cui Dio vuole farci grazia, ci impegniamo a quanto segue:

 

- Cercheremo di vivere come vive ordinariamente la nostra popolazione per quanto riguarda l’abitazione, l’alimentazione, i mezzi di locomozione e tutto il resto che da qui discende.

 

- Rinunciamo per sempre all’apparenza e alla realtà della ricchezza, specialmente negli abiti (stoffe ricche, colori sgargianti), nelle insegne di materia preziosa (questi segni devono essere effettivamente evangelici). Né oro né argento. Non possederemo a nostro nome beni immobili, né mobili, né conto in banca, ecc.; e, se fosse necessario averne il possesso, metteremo tutto a nome della diocesi o di opere sociali o caritative.

 

- Tutte le volte che sarà possibile, affideremo la gestione finanziaria e materiale nella nostra diocesi ad una commissione di laici competenti e consapevoli del loro ruolo apostolico, al fine di essere, noi, meno amministratori e più pastori e apostoli.

 

- Rifiutiamo di essere chiamati, oralmente o per scritto, con nomi e titoli che significano grandezza e potere (Eminenza, Eccellenza, Monsignore…). Preferiamo essere chiamati con il nome evangelico di Padre.

 

- Nel nostro comportamento, nelle nostre relazioni sociali, eviteremo quello che può sembrare un conferimento di privilegi, priorità, o anche di una qualsiasi preferenza, ai ricchi e ai potenti (es. banchetti offerti o accettati, nei servizi religiosi).

 

- Eviteremo ugualmente di incentivare o adulare la vanità di chicchessia, con l’occhio a ricompense o a sollecitare doni o per qualsiasi altra ragione. Inviteremo i nostri fedeli a considerare i loro doni come una partecipazione normale al culto, all’apostolato e all’azione sociale.

 

- Daremo tutto quanto è necessario del nostro tempo, riflessione, cuore, mezzi, ecc., al servizio apostolico e pastorale delle persone e dei gruppi laboriosi ed economicamente deboli e poco sviluppati, senza che questo pregiudichi le altre persone e gruppi della diocesi. Sosterremo i laici, i religiosi, i diaconi o i sacerdoti che il Signore chiama ad evangelizzare i poveri e gli operai condividendo la vita operaia e il lavoro.

 

- Consci delle esigenze della giustizia e della carità, e delle loro mutue relazioni, cercheremo di trasformare le opere di “beneficenza” in opere sociali fondate sulla carità e sulla giustizia, che tengano conto di tutti e di tutte le esigenze, come un umile servizio agli organismi pubblici competenti.

 

- Opereremo in modo che i responsabili del nostro governo e dei nostri servizi pubblici decidano e attuino leggi, strutture e istituzioni sociali necessarie alla giustizia, all’uguaglianza e allo sviluppo armonico e totale dell’uomo tutto in tutti gli uomini, e, da qui, all’avvento di un altro ordine sociale, nuovo, degno dei figli dell’uomo e dei figli di Dio.

 

- Poiché la collegialità dei vescovi trova la sua più evangelica realizzazione nel farsi carico comune delle moltitudini umane in stato di miseria fisica, culturale e morale (due terzi dell’umanità) ci impegniamo:

– a contribuire, nella misura dei nostri mezzi, a investimenti urgenti di episcopati di nazioni povere;

- a richiedere insieme agli organismi internazionali, ma testimoniando il Vangelo come ha fatto Paolo VI all’Onu, l’adozione di strutture economiche e culturali che non fabbrichino più nazioni proletarie in un mondo sempre più ricco che però non permette alle masse povere di uscire dalla loro miseria.

 

- Ci impegniamo a condividere, nella carità pastorale, la nostra vita con i nostri fratelli in Cristo, sacerdoti, religiosi e laici, perché il nostro ministero costituisca un vero servizio; così:

– ci sforzeremo di “rivedere la nostra vita” con loro;

– formeremo collaboratori che siano più animatori secondo lo spirito che capi secondo il mondo;

– cercheremo di essere il più umanamente presenti, accoglienti…;

– saremo aperti a tutti, qualsiasi sia la loro religione.

 

Tornati alle nostre rispettive diocesi, faremo conoscere ai fedeli delle nostre diocesi la nostra risoluzione, pregandoli di aiutarci con la loro comprensione, il loro aiuto e le loro preghiere.

Aiutaci Dio ad essere fedeli.»