Un bagno di sangue senza risultati. In Europa scivoliamo verso la guerra

08-02-2024 - Notizie

Un bagno di sangue senza risultati. In Europa scivoliamo verso la guerra, di Mario Giro

Il rischio è che la guerra diventi un ingranaggio indipendente dalla volontà umana. Di questi tempi la guerra non dà la vittoria perché gli attori sono ibridi e sfuggenti. Il conflitto stravolge anche chi è vittima e sta dalla parte giusta rendendolo simile al carnefice.

 

«Dobbiamo prepararci alla guerra»: il discorso inizia a farsi strada in Europa a partire dai paesi baltici. Ora anche in Germania e Gran Bretagna si parla di guerra imminente. Il nemico? Sempre lo stesso: la Russia.

Dall’inizio della guerra una delle ragioni per aiutare l’Ucraina è stata l’allarmismo: dopo Kiev, Mosca punta al resto di Europa. Lo hanno ripetuto le autorità ucraine e i loro sostenitori.

 

Lo stallo dei combattimenti obbliga oggi ad un salto di qualità: si insiste sul fatto che il rischio sia diventato una probabilità. Assistiamo ad un’ambigua escalation verbale: annunciare l’aggressione russa all’Europa puntando sul meccanismo della profezia che si autoavvera.

 

Ovviamente non c’è modo per contrastare sul piano della logica tali argomenti: chi sta dentro la testa dei leader russi per sapere se ciò sia vero o no? L’unico modo sarebbe negoziare ma è esattamente ciò che si vuole evitare a tutti i costi.

 

Notizie di incontri segreti tra russi e americani allarmano i sostenitori della guerra ad oltranza che si infiammano nelle più funeste profezie. L’altra tattica è cercare di convincere l’opinione pubblica che i russi non vogliono negoziare, anche questo indimostrabile.

 

Da parte di Mosca si metta in atto una simile strategia: si dice di voler negoziare ma un secondo dopo lo si smentisce … e così via. La storia narra che chi decide per la guerra come unica scelta si comporta sempre così allo scopo di farla esplodere, oppure è talmente accecato dalle passioni (nazionaliste) da farla scoppiare senza nemmeno volerlo.

 

In fondo è la stessa cosa: prima della guerra c’è la non-pace, la fine della pace nei discorsi e nelle parole, nella psicologia collettiva, nelle attese dei più.

 

Scriveva l’autore ungherese Sandor Marai nel 1938: «La guerra era ancora una prospettiva indistinta … ma gli avvoltoi delle catastrofi umane, i profittatori dell’economia bellica si tenevano già pronti in attesa di banchettare sulle carcasse delle vittime del gran funerale. Non c’era ancora la guerra e già non c’era più la pace».

 

È ciò che stiamo vivendo in Europa: si crede di poter fare a meno della pace, che non sia più un obiettivo lecito e chi la desidera passa per un ingenuo o un traditore.

 

È il medesimo spirito che ha portato alle due guerre mondiali. Conosciamo l’obiezione: che altro si poteva fare contro l’aggressione nazista? La guerra era inevitabile, la sola alternativa sarebbe stata la resa come fu fatto smembrando la Cecoslovacchia.

 

Da qui la critica all’appeasement di Monaco e così via. Siamo sicuri di poter comparare situazioni così diverse solo perché convinti che la guerra è inevitabile in certi passaggi della storia? Non c’è forse un pregiudizio all’origine di tale idea: pensare che la guerra sia la triste ma ineluttabile compagna dell’uomo?

 

Per sostenerlo occorre attraversare alcune tappe obbligate, in primis la costruzione del nemico. La Russia è oggi quel nemico ma fino a ieri non lo era. Il regime di Vladimir Putin non è cambiato da tre anni a questa parte.

 

Importanti leader europei e occidentali lo frequentavano e tutti facevamo affari con la Russia.

 

Certamente c’era chi lamentava tale stato di cose (i georgiani ad esempio), ma la Russia era considerata dei “nostri”, solo un po’ diversa.

 

Ora si riscrive la storia del post-crollo del muro in tutt’altro modo: ciò che fu speranza di pace e convivenza (la casa comune europea) è adesso interpretata come un’enorme bugia da cui si salva solo Gorbaciov, l’unico russo ancora “buono” per l’occidente.

 

Tutti possono comprendere che si tratta di una lettura rimaneggiata, alterata e alla fine abbastanza ipocrita.

 

Politica degradata

 

Resta il fatto oggettivo che il discorso della e sulla pace è diventato molto più difficile proprio perché si è affermato uno scenario alternativo, cupo e diretto allo scontro.

 

La politica stessa è concepita come contrasto tra interessi competitivi ed inevitabile contrapposizione. Come riaffermare il comune vantaggio e l’interesse del compromesso e della convivenza in tale contesto psicologico e politico? Posto che nessuno vuole arrendersi, qual è oggi il discorso più convincente sulla pace?

 

La prima cosa da dire è che la guerra è inutile e non offre alcuna soddisfazione né all’aggressore e nemmeno all’aggredito che pur resiste. In altre parole: la guerra non conviene perché in essa non c’è guadagno. Basta osservare i conflitti degli ultimi decenni per rendersene conto.

 

Nemmeno Mosca si avvantaggia davvero con ciò che sta operando alle sue frontiere: non riconquisterà mai tutti i territori dell’Urss; non recupererà l’influenza che ebbe; non sarà mai più riconosciuta come la portavoce dell’altra metà del mondo (come fu per un tempo).

 

Da quando l’occidente si è convinto di aver vinto la terza guerra mondiale senza combattere (e di poter imporre a tutti i propri modelli), Mosca sta cercando (nostalgicamente e vittimisticamente) di riprendere quel vecchio ruolo.

 

Non ci riuscirà ma nemmeno l’occidente può illudersi di rimanere unilateralmente il solo a formattare il mondo. Il nostro pianeta è ormai ineluttabilmente cambiato, è plurale e multilaterale, anzi quasi anarchico.

 

La storia non torna indietro per nessuno. Infondo la guerra in Ucraina è un conflitto di retroguardia per entrambi gli schieramenti: uno vorrebbe recuperare la posizione di prima e l’altro si illude di mantenere la propria.

 

In realtà entrambi sprofondano, perdono spazio, prestigio e onore in una guerra assurda e micidiale che li lascerà più poveri di prima e senza vincitore. Quindi è una guerra peggio che inutile.

 

Lo stesso si può dire per il conflitto israelo-palestinese: possiamo già immaginare che nessuno vincerà o distruggerà completamente l’altro, né lo cancellerà dalla carta geografica, come vorrebbero sia Hamas che l’estrema destra suprematista israeliana (con la differenza sostanziale che Hamas punta al genocidio mentre l’estrema destra israeliana si accontenterebbe di una pulizia etnica).

 

Tutte le guerre mediorientali lo hanno ampiamente dimostrato: solo un accordo potrà mettere la situazione in equilibrio.

 

Qualcuno sostiene addirittura che la guerra è una forma di ordine ma la storia dimostra abbondantemente il contrario.

 

Ciò che resta dopo una guerra (sempre inutile) è distruzione, stravolgimento della natura, regresso economico e rancori che preparano quella successiva.

 

La guerra deforma

 

Una seconda cosa da dire per costruire il nuovo linguaggio della pace è che la guerra non è uno strumento della politica (fatta con altri mezzi).

 

Può sembrarlo ma sostanzialmente si tratta di uno strumento del tutto diverso e indipendente, che tende a rendersi autonomo dalla volontà di chi la fa (sia che l’abbia decisa o la subisca).

 

La guerra è un ingranaggio svincolato dall’umano, che segue una sua propria logica. La prova è che una volta iniziata è molto difficile fermarla, anche da parte di chi l’ha cominciata: molti altri elementi entrano in gioco e rendono quasi impossibile il suo termine. All’inizio c’è sempre una decisione politica ma per terminarla servono tali e tante condizioni che rischiano di renderla permanente.

 

Un tempo la fine della guerra risiedeva nella vittoria di una delle parti. Lo si pensa ancora ma si tratta di un vecchio modo di pensare: la vittoria oggi è diventata elusiva e sfuggente e in qualunque conflitto ci sono troppi attori ibridi che non si possono battere perché non si dichiarerebbero mai sconfitti (come Hamas e i terroristi in generale).

 

Infine si può dire anche che la guerra non conviene perché deforma e deturpa chi la fa: anche chi ne è vittima tende ad assomigliare al proprio carnefice. La guerra schiaccia tutti sugli stessi comportamenti di assassinio e massacro.

 

In guerra si diventa tutti uguali: i versanti si confondono e anche chi sta dalla parte giusta (ad esempio perché aggredito) assume un’eguale condotta di disprezzo della vita e massacro.

 

Quindi non conviene per niente perché si finisce per assomigliare all’aggressore mentre tutto si confonde, anche le ragioni e i torti, in un bagno di sangue senza risultati. Meglio dunque non farla proprio.

 

in “Domani” del 31 gennaio 2024