FINE VITA, LE CHIESA E LA MISERICORDIA

06-03-2024 - Notizie

di Enzo Bianchi

 

Diciamolo chiaramente: è penoso e anche deludente questo legiferare a livello regionale, come ha fatto la Regione Emilia Romagna, su temi come il fine vita. Questa anomalia è dovuta all’incapacità del Parlamento di decidere una legge per tutto il paese, nonostante la sentenza della Corte costituzionale di cinque anni fa. E così, senza che ci sia stato un itinerario di dialogo, di confronto, non solo tra le forze politiche, ma anche con le rappresentanze istituzionali delle componenti della società, per una regione ma non per le altre, si approva una legge che colma il vuoto legislativo sul fine vita e stabilisce itinerario e tempi precisi per il cittadino che vuole accedere al suicidio medicalmente assistito.

          Qualche settimana fa monsignor Erio Castellucci, un vescovo e teologo ricco di vera sapienza, aveva scritto un lungo testo per una valutazione etica del suicidio assistito. Questo testo è un capolavoro in vista di un dialogo: rispettoso, lontano da ogni manicheismo e da ogni polarizzazione chiede e propone un confronto con quanti esprimono posizioni diverse sul tema del fine vita, che non vanno demonizzati ma ascoltati. Di diverso tono, invece, il comunicato della Conferenza episcopale dell’Emilia-Romagna che risponde all’emanazione regionale di una legge che viene giudicata “sconcertante”.

          È vero che per i cattolici – credenti nel Dio creatore della vita, che non è mai in possesso di nessuno se non di Dio solo al quale va ridata puntualmente quando ha fine – il suicidio resta una contraddizione al dono della vita ricevuto. Ma sappiamo anche che questa vita non va idolatrata, affermata in modo totalitario, tant’è vero che nel cristianesimo è possibile che la si doni e addirittura la si offra alla morte per una testimonianza resa alla giustizia, alla pace e alla libertà, cioè al riconoscimento della signoria dell’unico Dio e alla fede in Cristo.

          Oggi siamo tutti consapevoli che ci sono degli itinerari verso la morte che negano la dignità di una persona, che comportano sofferenze fisiche e psichiche insopportabili, situazioni in cui rimane solo la vita vegetativa o una dipendenza da una macchina che pone il malato in una coscienza disperata. E purtroppo in Italia non si può ancora dire che si sia diffusa una cultura del dolore! Si continua ad affermare che ci sono le cure palliative, ma queste non sono praticate ovunque e sovente quelli che vivono in condizioni più precarie e i più poveri non vi accedono perché nessuno si prende cura di loro. Il male, le sofferenze non possono essere sempre governati in modo integrale e di fronte a un dolore senza speranza spetta in definitiva alla coscienza di ciascuno riconoscere il suo limite di resistenza e quindi decidere la resa.

          La chiesa cattolica nega l’eutanasia come possibilità, propone le cure palliative anche se queste dovessero abbreviare la vita, ma deve aver comprensione di chi invece sceglie nel suo dolore o nella sua debolezza di porre fine alla propria esistenza.

          Qui occorrerebbe, come avviene in altri paesi, che la chiesa accettasse di accompagnare verso la morte anche quelli che la scelgono ma chiedono, nella loro fede, di avere i conforti religiosi fino alla fine. E non si dica qui che questo sarebbe approvare, benedire un peccato. Se anche fosse peccato, il peccatore va accompagnato e benedetto perché abbisogna di misericordia, tenerezza, fiducia, rinnovamento della fede e della speranza. Se la chiesa non fa misericordia e non ha una buona notizia da dare in ogni situazione a che cosa serve?

 

La Repubblica 4 marzo 2024