Preghiere poesie

DOMENICA DELLE PALME ANNO C

DOMENICA DELLE PALME  ANNO C  con preghiera dei piccoli

 

Luca 19, 28-40

Dopo averlo catturato, lo condussero via e lo fecero entrare nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano. Avevano acceso un fuoco in mezzo al cortile e si erano seduti attorno; anche Pietro sedette in mezzo a loro. Una giovane serva lo vide seduto vicino al fuoco e, guardandolo attentamente, disse: «Anche questi era con lui». Ma egli negò dicendo: «O donna, non lo conosco!». Poco dopo un altro lo vide e disse: «Anche tu sei uno di loro!». Ma Pietro rispose: «O uomo, non lo sono!». Passata circa un’ora, un altro insisteva: «In verità, anche questi era con lui; infatti è Galileo». Ma Pietro disse: «O uomo, non so quello che dici». E in quell’istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro, e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto: «Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte». E, uscito fuori, pianse amaramente.

[…] Mentre lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù. Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui.

Nei vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca) non c’è nessun accenno ai “rami di palma” per accogliere Gesù nel suo ingresso a Gerusalemme. Matteo e Marco parlano semplicemente di alcuni che” tagliavano rami dagli alberi e li stendevano per terra” (Mt. 21, 8), Marco riferisce che alcuni stendevano “delle fronde, tagliate nei campi” (Mc. 11,8) mentre Luca – 19,35-36 – non fa nessun riferimento a piante, rami, fronde o palme. Solo il quarto Vangelo menziona i rami di palme: “la grande folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palme e uscì incontro a lui…” (Gv,12,12). Ed è grazie al Vangelo di Giovanni che è entrata, nelle nostre comunità, la tradizionale “domenica delle Palme”. A cui, inutile negarlo, siamo tutti fortemente affezionati. Forse per quel rito di benedizione del ramo d’ulivo che passa dalla chiesa alle nostre case; forse perché è parte dei ricordi della nostra infanzia; oppure perché la scena di Gesù che entra in città sul dorso di un asino ci ricorda che vince chi ama, non chi domina.

La pandemia e il divieto di assembramenti ci avevano privati di questo rito. Ma nessuno avrebbe creduto che nella Domenica delle Palme 2022 avremmo dovuto fermare la nostra attenzione sulla differenza tra la Palma, emblema di vittoria, e l’Ulivo, simbolo di pace e di non-violenza. In realtà la tragedia e l’orrore che si stanno consumando in Ucraina (e in tantissime guerre sparse nel mondo!) ci obbliga a queste riflessioni.

Nella cultura greca e dell'impero romano, il ramo di palma era segno di vittoria e di trionfo spesso riservato all’Imperatore e ai condottieri del suo esercito. Il ramoscello di Ulivo – al contrario – ci ricorda la colomba che rientra nell’Arca di Noé tenendo “nel becco una tenera foglia di ulivo” (Gen. 8,11). Ed è il “segno” dell’ulivo che prepara il linguaggio figurato dell’arcobaleno come simbolo di pace definitiva tra Dio e l’umanità (“Questo è il segno dell'alleanza, che io pongo tra me e voi e ogni essere vivente che è con voi, per tutte le generazioni future. Pongo il mio arco sulle nubi, perché sia il segno dell'alleanza tra me e la terra. - Gen. 9,12ss). D’ora in poi, dice la Parola di Dio, violenza e guerra potranno abitare la terra solo per responsabilità dell’uomo. Dio ha deposto per sempre il suo “arco” e non lo userà mai più per costruire violenza e morte contro l’uomo.

L’intenzione di Gesù con il suo disarmato ingresso in Gerusalemme è proprio questo: adoperarsi perché sulla Terra – una volta per tutte – cessino le parole del potere, del dominare, della violenza, della guerra, dell’odio e della morte. E si noti il particolare: Gesù non fa appelli, proclami o prediche. Vive in prima persona la scelta del servizio, del dono di sé e del perdono. Avanza contro il male che lo vuole uccidere sul dorso di un asino: puledro che nessun Imperatore assetato di potere e di gloria avrebbe mai cavalcato. Sceglie per sé la nonviolenza e permette alla morte di avanzare su di lui certo che il Padre Suo renderà il linguaggio della guerra parola perdente e penultima.

Sta iniziando la settimana santa. Per le nostre comunità si tratta di un tempo liturgico. Per i popoli martoriati dalla violenza e dalle guerre si tratta, però, di un tempo reale dove fame, ferite, lutti e morte attendono segni di speranza che spesso non arrivano.

Mai come quest’anno il prepararsi alla Pasqua diventa cammino perché:

  • il servizio proposto da Gesù nel Giovedì santo,
  • la nonviolenza ed il perdono praticati dal Signore nel Venerdì Santo
  • il silenzio del Sabato Santo

diventino la vera grammatica della nostra preghiera, del nostro stile di vita e della Pace che decidiamo di praticare nella quotidianità delle nostre scelte.

L’Ulivo benedetto che portiamo in casa diventi segno efficace della benedizione del Dio di Gesù che ci invita – per essere beati – a deporre ogni “arco” che innesca in noi logiche di odio, di ostilità e di rancore.

Gesù ci doni, in questa faticosa e necessaria settimana santa, di gustare la precarietà riposante che sperimenta chi cavalca l’asino e di prendere le distanze dalla drammatica tentazione del cavalcare il delirio del dominare e del comandare per essere serviti.

Buona settimana santa a tutti e auguri intensi di Pace a quanti sono segnati dalla guerra.

                                                    

 Preghiera dei piccoli                                            

               Caro Gesù,

                nella Domenica delle Palme la folla loda Dio con le stesse parole usate dagli angeli nella notte di Natale: “Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli”.

Abbiamo bisogno, Gesù, di queste parole. Nell’ultimo mese abbiamo sempre e solo parlato di guerra, di bombardamenti su case e ospedali e di donne e bambini che scappano.

Gesù fa che il dono della Tua Pace scenda dal Cielo e venga sulla nostra Terra. In modo speciale in Ucraina dove la vita sta diventando impossibile.

Che bella Gesù la tua attenzione per il puledro che fai slegare! Forse per questo san Francesco ha messo l’asinello nel presepe: per ricordare a tutti che Tu sei venuto per servire, non per vincere, comandare o dominare.

Sai cosa faccio oggi? Prendo l’asinello del presepe e me lo metto sulla scrivania con vicino il ramoscello di ulivo.

 

V DOMENICA DI QUARESIMA ANNO C

V DOMENICA DI QUARESIMA ANNO C  con preghiera dei piccoli     

 

 Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 8,1-11)

In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

 

Il quadro è composto da due parti. La prima riguarda scribi e farisei che conducono a Gesù una donna sorpresa in adulterio, la pongono in mezzo e gli domandano se questa donna debba essere lapidata come prescritto da Mosè. L’evangelista lo comunica al suo lettore che chi pone il quesito a Gesù voleva “metterlo alla prova per avere motivi di accusarlo”. Ma non sono necessari grandi strumenti per capire la malafede di questi accusatori. I quali prima spiano quella donna per coglierla in un “flagrante adulterio” (con un piano preparato ad arte e programmato per tendere il loro tranello) e poi portano a Gesù “solo” lei! E l’uomo? Perché lo lasciano andare? Perché non portano a Gesù anche l’uomo? Ma – ancor più in profondità – perché “usare” malamente una donna per accusare Gesù?

Per l’evangelista non ci sono dubbi: non basta parlare o ascoltare Gesù per pregare. Molte volte ci si rivolge a lui con domande precompilate e precostituite; lo si interpella perché confermi le nostre tesi; gli si chiede di adeguarsi ai nostri schemi mentali e, senza paura di abusare della Sua Parola si “usa” anche il Suo Vangelo per portare acqua al mulino del proprio modo di pensare e di agire (esattamente come ha fatto Putin per giustificare, allo stadio di Mosca, la sua aggressione dell’Ucraina).

Nella seconda parte del quadro troviamo Gesù. Il quale ascolta e impartisce subito una gran bella lezione di metodo nei confronti delle domande. Sempre, ma in modo speciale quando il quesito è posto in malafede, è saggio prendere del tempo prima di rispondere in modo frettoloso e emotivo. È inevitabile: quando si risponde “subito”, si resta sulla superficie della domanda. Il vero educatore non reagisce mai in modo impulsivo perché sa che quasi sicuramente non colpisce il bersaglio. Per guadagnare tempo e per saldare il dire all’agire, Gesù “si chinò e si mise a scrivere con il dito per terra”. La scena è solenne e sono stati usati fiumi di inchiostro per provare a interpretare questo curioso modo di fare di Gesù. Una possibile interpretazione è la seguente: Gesù comunica, con il suo gesto agli scribi e ai farisei che lo interrogano, che giudicare, calunniare e rovinare chi vive momenti di debolezza (con pratiche di spionaggio e senza farsi carico di aiutare chi sbaglia a riprendersi) è disumano. Certamente è un modo di fare facile e poco impegnativo. Proprio come scriver sulla terra. Basta un po’ di vento, due gocce di pioggia e tutto svanisce. Per chi riceve quelle calunnie – però – la scritta entra, in modo indelebile, nella sua carne. Al punto da “paralizzarlo” a terra con pochissime possibilità di rialzarsi. Per questo Gesù si china per terra: per rialzare chi, da quelle accuse, è stato schiacciato. E per ricordare che a volte le parole feriscono più delle pietre. Dopo aver spiegato tutto questo senza mai aprire bocca, Gesù invita chi è senza peccato a scagliare la prima pietra (“E chinatosi di nuovo scriveva per terra”). Messaggio ricevuto: nessuno lancia la pietra che forse si era portata da casa e “se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani”. Come scriveva sant’Agostino, restano solo la misera e la misericordia. Ed è esattamente questo ciò che Gesù ci voleva comunicare: il Padre di cui Lui è il volto, è solo buono. Il Dio di Gesù frantuma i giudizi, le calunnie e/o le veloci sentenze formulate con leggerezza e con troppa facilità da chi ha imparato a giudicare gli altri senza mai guardare se stesso. Il Dio di Gesù è presenza che non condanna – mai – e che dona la forza di cambiare a chi si lascia aiutare dalla bontà del Padre Suo. Gran bella lezione di umanità. Soprattutto in un tempo in cui la tecnologia ci ha reso facile il giudizio sul mondo e sui fratelli, ma ci ha privato del coraggio di migliorare il mondo a partire da noi stessi. È vero: l’aggressione dell’Ucraina da parte di Putin è inaccettabile e indifendibile. Ma basta questo dato per autorizzare analisi facili e condanne altrettanto superficiali? Gesù chinato a scrivere con il dito sulla terra ci invita – a pochi giorni dalla Pasqua – a invocare con radicalità il dono della Pace, a praticare il silenzio perché nessuno debba cadere sotto i colpi delle nostre “parole facili” e disponibili a fare incontrare le nostre miserie con la Sua misericordia.

 

                                                                                            Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,                        

                 anche a me piace scrivere, con il dito, sulla spiaggia.

Mi immagino la scena: tutti si aspettano che Tu dica parole dure contro la donna e invece Tu, in silenzio, ti chini e scrivi per terra con la mano.

Forse volevi spiegare a chi ti interrogava che giudicare gli altri è come scrivere sulla sabbia. È facile da fare ed è persino comodo, anche perché quei segni spariscono in fretta. Tranne che per l’interessato. Per lui quelle parole sono scritte sulla pelle, sulla carne. Lo bloccano e gli impediscono di rialzarsi.

È bello sapere dal Vangelo che Tu, Gesù, non condanni mai. Nessuno. E che aiuti sempre chi ha sbagliato a rialzarsi e a ritrovare la forza di cambiare.

Grazie Gesù perché Tu non sei mai “contro di noi” ma sempre “con noi” (e “con me”).

Gesù abbiamo bisogno di Pasqua e di Pace.

 

 

IV DOMENICA DI QUARESIMA

IV DOMENICA DI QUARESIMA   con preghiera dei piccoli

Luca 15, 1-3. 11-32

 

«1Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola: Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. 25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

 

La parabola del Padre misericordioso (conosciuta ieri come la vicenda del Figliol prodigo) è di inesauribile ricchezza. A partire dal fatto che Gesù parla, nel suo insegnamento, di due figli. I quali, lo sappiamo, sono molto diversi tra loro e con modalità opposte di intendere la vita. Entrambi, però, sono soli e alle prese con quella tristezza che inevitabilmente connota chi non sa aprirsi all’altro: al dono della fraternità.

È un testo di straordinaria bellezza costruito ad arte dall’evangelista per permettere, ad ogni generazione, di confrontarsi con la freschezza e con la saggezza dell’insegnamento di Gesù. Fermiamoci su questi due fratelli. Il più giovane si pensa non solo figlio unico, ma anche orfano. Ed è per questo che considera il padre già morto e gli chiede “la parte di patrimonio che mi spetta”. Con i “suoi” soldi, però, annega molto presto nella sua infantile concezione del divertimento inteso quest’ultimo come feste infinite, lusso, uso smodato di cibo, bevande, denaro e sessualità fino ad entrare nella patologia del vizio. Non ci impiega molto a capire che il divertimento fine a se stesso non immerge nella gioia. Molto presto (sperperato tutto il denaro) si ritrova solo, scaricato da tutti e costretto a fare i conti con un modo fallimentare di impostare la vita. Intuisce che la sua sola via di uscita è il tornare dal padre. Non pensa a suo fratello nel progettare un ritorno a casa. Così come non è interessato al dolore del padre per la sua partenza. La sola cosa che gli interessa è quella di sopravvivere senza dover lavorare come servo. E per questo obiettivo è anche intenzionato a fingere un pentimento pur di sedersi nuovamente ad una tavola imbandita da altri.

Anche il primogenito, però, si considera figlio unico. Sembra che non si sia mai accorto che nella sua casa sia entrato un fratello. Lui vive per se stesso, per gratificare il nome del casato, per lavorare. Molto presto anche lui deve però confrontarsi con il fatto che campi e denaro non sono in grado di dare all’esistenza l’ossigeno della gioia. Figli su postazioni opposte. Diversi nel mondo di pensare, di essere, di fare e di vivere. Uguali – però – nel chiudersi su se stessi e nel negare contro ogni evidenza il dono della fraternità.

Domanda: ma non è una perfetta fotografia della nostra società alle prese con l’opulenza? Chi se lo può permettere vive feste, festini e sprechi di ogni tipo ignorando quanti sono alle prese con restrizioni, povertà, miserie e palesi forme di ingiustizie. Vivono pensando solo a divertirsi, ma sono perennemente scontenti e senza gioia.

Altri sono più “barricati” sul lavoro, in casa, incollati a televisori con schermi sempre più grandi e tecnologicamente evoluti, ma anche questi – però – si confrontano con una vita stracarica di impegni lavorativi, ma avara nel distribuire la gioia.

Gesù non ha dubbi: la sola fonte della gioia è la fraternità vissuta con profonda riconoscenza verso il Padre buono di Gesù che ha allontanato da noi la fatica della solitudine. Non può essere contento chi uccide il padre sperando di poter usare l’eredità per divertirsi (e anche in queste settimane la cronaca ci conferma che questa follia esiste e dilata quote di morte per tutti). Ma non gioisce nemmeno chi si difende dagli altri e non sa riconoscere chi gli è accanto come “suo” fratello.

Il primogenito della parabola rimprovera il padre di accogliere il figlio sprecone chiamandolo “questo tuo figlio”. Con bontà e pazienza il Padre gli ricorda che tutti e due sono e saranno sempre figli, ma che l’altro che lui sente come estraneo, come un rivale e come un nemico, è “tuo fratello” (“Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”). Come a dire: non basta sentire e sapere di essere figli di Dio per essere felici. La gioia abita nella coscienza, nella consapevolezza e nella pratica della fraternità. Un bellissimo programma per queste ultime settimane di quaresima.

                                                                                 Preghiera dei piccoli

 Caro Gesù,

                  secondo me il figlio più giovane ha deciso di andarsene da casa perché non sopportava più il fratello perfettino e sempre “primo” in tutto.

Era invidioso della sua bravura.

Non appena torna a casa pentito, però, scopre che anche suo fratello è invidioso di lui.

Non si parlano, ma passano il loro tempo a invidiarsi di nascosto! E quando uno è in casa l’altro è “fuori”.

Succede anche a me di invidiare mio fratello. Anche se lui dice sempre alla mamma che io sono il suo figlio preferito.

Anziché aiutarci a vicenda e a fare festa insieme, perdiamo molto del nostro tempo a spiarci e a invidiarci.

Ti prego Gesù: aiutaci ad uscire dall’invidia e a riscoprire la bellezza dell’essere fratelli senza fare confronti e senza gelosie.

Oggi voglio dire il “Padre nostro” in modo diverso.

 

P.S. Gesù aiuta i governanti dei Paesi in guerra a scegliere la Pace.

III DOMENICA DI QUARESIMA ANNO C

III DOMENICA DI QUARESIMA  ANNO C  con preghiera dei piccoli

Lc 13, 1-9

 

«1In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. 2Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? 3No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. 4O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? 5No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». 6Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. 7Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. 8Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. 9Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

 

I fatti sono i seguenti: Pilato, impaurito dalla presenza di Galilei in Gerusalemme (conosciuti come rivoltosi e ribelli nei confronti del potere romano), ordina ai suoi soldati di ucciderli anche se questi si trovano nel luogo più santo della città: nel Tempio. Impossibile non parlare di questo evento che sottolinea l’arroganza violenta del potere romano e evidenzia la dura legge dell’occupazione. Ma oggi la situazione non è molto diversa. Impossibile non confrontarsi con la dolorosa e violenta aggressione dell’Ucraina da parte della Russia militare comandata da Putin. E anche oggi sono tanti (a volte si ha l’impressione che siano persino troppi) coloro che spiegano, che interpretano, che discutono, che profetizzano, che giudicano, che condannano o che salvano l’uno o l’altro.

Il dramma della violenza – però – è proprio questo: ampliare, da una parte le parole inutili e, dall’altra parte, disorientare chi si vede costretto a fare lo spettatore della morte inflitta in modo ingiustificato e indifendibile. Non sempre si è in grado di valutare da soli quanto accade. Ed è per questo che “alcuni si presentarono a riferirgli il fatto di quei Galilei il cui sangue Pilato ha fatto scorrere”: per capire di più, meglio e in profondità.

Gesù non si sottrae al confronto. Ascolta la domanda, accoglie la fatica di chi gli pone il quesito, ma prende le distanze tanto da una risposta carica di emotività quanto dalla tentazione della logica vendicativa di chi vorrebbe lavare quel sangue con altro sangue. Una gran bella lezione di metodo. Per non “piegare” mai la cronaca alla propria campagna elettorale, alla ricerca di consenso o – peggio ancora – per non “usare” mai morte, violenze e guerre per imporre le proprie piccole (provinciali e sbagliate) visioni del mondo.

Gesù non cambia il nome alle cose. Il male resta male. Morte e violenza restano realtà inaccettabili e da condannare. Gesù non lancia crociate contro Pilato. Non invita alla vendetta. Entra in profondità e invita chi lo ascolta a “convertirsi” inteso come il difficile ma liberante servizio finalizzato a svuotare il proprio cuore da quelle quote di odio, di astio, di pregiudizi, di voglia di vendetta e di potere che preparano le guerre e che inevitabilmente generano morte. Troppo facile condannare gli errori degli altri (che restano tali e che non possono diventare azioni giuste in virtù dell’autorevolezza del relatore).

Gesù va oltre la facile condanna di chi sbaglia e invita chi lo ascolta a rileggere “i fatti” intrisi di violenza e di morte per prendere “personalmente” le distanze dal male e di decidere di restare fuori dai circuiti della violenza che tentano non solo chi la attua, ma anche chi la subisce. Quel forte “convertitevi” che Gesù consegna per due volte ai suoi interlocutori (e a tutti noi) è la buona notizia di questa domanda: scegliere, nel nostro cuore, di non fare il male, di sgretolare qualsiasi tentazione di vendetta, di vivere per gli altri e di imparare la faticosa bellezza del perdono per sciogliere quelle quote di odio e di astio presenti anche nei nostri cuori, vuole dire vivere e vincere le logiche di morte. Semi di male sono presenti anche in noi, ci ricorda Gesù. La quaresima è il tempo in più che ci viene dato perché ognuno di noi si alleni a pregare di più per allineare il suo cuore alla sola Parola che ci libera, che ci cura e che ci consegna la vera Pace. L’albero di fichi con cui Gesù conclude il suo magistrale insegnamento non è del tutto cattivo, non è “perso” e non è ancora da “tagliare”. È un albero “malato”, ma se viene curato, riprende a fare frutti. Quel tempo in più che il vignaiolo chiede al proprietario del terreno per permettere all’albero di “guarire” è la descrizione perfetta del Gesù che vuole donarci questa quaresima perché ognuno di noi “ritorni” a portare quei frutti di bontà, di perdono, di apertura all’altro e di giustizia che rendono migliore il mondo. Senza mai stancarsi di pregare per la Pace e di domandare – ciascuno al suo cuore – che cosa posso fare io per cambiare questa povera, drammatica, ma affascinante Terra. Ancora auguri a chi si chiama Giuseppe e a tutti i papà.

 

                                                                              Caro Gesù,

                mio nonno non vuole mai che, nell’orto, io usi la scure. “Se vuoi aiutarmi – dice sempre – prendi la zappa e pulisci i sentieri dell’orto. Con questa non puoi farti male”.

Non lo sapevo che anche Tu preferisci la zappa alla scure.

Ma la cosa bella di questo tuo insegnamento è che Tu non parli solo della zappa che aiuta le piante a crescere.

Con l’immagine del vignaiolo che vuole, ad ogni costo, salvare la pianta dall’essere sradicata, Tu parli anche di noi.

Sei Tu, Gesù, il vignaiolo che si prende cura di noi e che, con pazienza, ci liberi dalla nostra pigrizia e dall’egoismo che non ci fa andare verso gli altri.

Grazie Gesù. Non vedo l’ora di tornare nell’orto e di riprendere la zappa in mano.

Sarà un modo per stare con Te.

 

P.S. Gesù, aiuta i grandi a fermare la guerra in Ucraina.

              

II DOMENICA DI QUARESIMA ANNO C

       II DOMENICA DI QUARESIMA  ANNO C  con preghiera dei piccoli

 

Luca 9, 28b-36

 

«28Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. 29Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. 30Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, 31apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. 32Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. 33Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva. 34Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. 35E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!».36Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto».

 

“Za pobedu” che in russo significa “per la vittoria”: questo dovrebbe significare, secondo il ministero della Difesa russo, la Z scritta con vernice bianca sui carrarmati mandati da Putin in Ucraina. Il che significa che per il pensiero semplice di chi ha scatenato questo inferno, la “vittoria” la si ottiene con armi, bombardamenti, aggressioni, distruzioni di città intere (ospedali stracolmi di bambini malati compresi), uccisioni e con i carri armati disposti a “camminare” anche sulle auto abitati da poveri civili.

Per il Vangelo di san Luca la “vittoria” percorre strade diverse. E il volto di Gesù che sul monte cambia di aspetto significa proprio questo: vittoria e gloria non si ottengono con le logiche del potere, della forza, della violenza e della sottomissione di chi rifiuta di riconoscere altre sovranità. Gesù sul monte intuisce definitivamente – dopo intensa preghiera – che la Sua gloria è data solo dal percorrere fino in fondo la “strada” del dono di sé che lo porterà al venerdì santo, dalla rinuncia della violenza e dalla scelta del servizio. La grande domanda che affiora nella testa, ma soprattutto nel cuore dei tre scelti da Gesù per “seguirlo” sul monte – Pietro, Giovanni e Giacomo – esprime molto bene anche le nostre paure, dubbi e insicurezze. Non a caso l’evangelista dice che “erano oppressi dal sonno”. Non si riconoscono nello schema mentale di Gesù. Non sono in grado di accettare questa proposta e non sono disposti a guardare la vita da un altro punto di vista. Sono “depressi”, “bloccati dalla paura, “chiusi” nelle loro piccole convinzioni e prigionieri delle loro certezze. Ma non succede anche a noi di restare– quando siamo spiazzati da eventi che superano la nostra possibilità del tenerli sotto controllo – paralizzati? Quante volte facciamo finta che niente sia successo per restare ancorati alle nostre piccole certezze!

Gesù, però, offre ai suoi timidi, rigidi e impauriti accompagnatori (che per san Luca potremmo essere tutti noi) un aiuto per “uscire” da questo “sonno”. San Luca annota che oltre a cambiare d’aspetto nel volto, Gesù si presenta ricoperto da una veste candida e “sfolgorante”. Quest’ultimo è lo stesso termine che descrive l’abito dei due uomini incaricati di annunciare la resurrezione di Gesù (“ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante” – Lc. 24,4).

Sembra contro natura cercare la vittoria per la strada ripida e scomoda della nonviolenza, del dono di sé, del servizio e del perdono, ma è la sola strada – ci conferma Gesù sul monte – che ci rende il volto luminoso perché carico dell’amore che ci realizza.

La voce che esce dalla nube conferma il fatto che solo Gesù va ascoltato e seguito. Solo Lui. Verranno altri (tanti altri) per convincerci ad inseguire la vittoria per altre strade. Qualcuno si è persino illuso che scrivere il segno della vittoria con la vernice su mezzi pensati solo per uccidere renda veloce il raggiungimento dello scopo prefissato. Ciò a cui stiamo però assistendo è la dimostrazione pratica del fatto che solo Gesù ha Parole di vita che non finisce e che vincono anche la morte. Tutte le altre parole – soprattutto quelle segnate da ambizione, potere e dominio – generato morte. Le mamme russe e le mamme ucraine che piangendo i loro figli uccisi da strategie militari illegali e illogiche sono la conferma che ci è chiesto di cambiare modo di pensare e di vivere. La stragrande maggioranza delle vittime di questa “inutile strage” (i civili morti in Ucraina sono il 90%) sono il segno evidente che con la guerra, la violenza e le armi nessuno vince. Mai.

E perché nessuno perda di vista il volto del Messia che ha cambiato di aspetto, san Luca tra pochi versetti ci presenta Gesù che “indurì il volto” per mettersi in cammino verso Gerusalemme. Per fermare la violenza dentro di noi e qualsiasi guerra, non bastano appelli, proclami o buone intenzioni. Bisogna essere determinati (e radicali) e scegliere la nonviolenza e nel praticare la solidarietà senza troppa emotività. Non ci sono profughi o immigrati di serie A e di serie B. Rimboccare le maniche, asciugare le lacrime, decidere di aiutare chi scappa da qualunque guerra e non idolatrare mai nessun dittatore…, sono alcune premesse perché il nostro volto manifesti – grazie alla Parola di Gesù – tanto la bontà quanto la “fermezza” nel decidere di opporsi a ogni forma di ingiustizia e di violenza. Buon cammino verso la Pasqua.

                                                                       Preghiera dei piccoli                          

Caro Gesù,

                    papà non ci lascia vedere le scene di guerra in Ucraina al televisore. Dice che sullo schermo scorrono immagini troppo violente e che non fa bene vederle.

“Meglio la radio” – ripete ogni giorno – che ci dà le notizie senza farci “vedere” scene strazianti che non fanno bene ai bambini.

Scusa la domanda, Gesù. Pietro, Giovanni e Giacomo: si sono addormentati sul monte perché erano stanchi oppure perché non accettavano i tuoi discorsi?

Quando “sentono” che Tu non vuoi comandare, quando “vedono” che Tu vuoi solo servire e quando capiscono che nel dare la vita Tu fai sul serio, loro “dormono” per non “sentire” quanto insegni e per non cambiare.

Gesù, ha ragione papà: si può anche non “vedere”. Ma non possiamo dormire e voltarci dall’altra parte quando qualcuno sta male e chiede aiuto.

Tieni sveglio il mio cuore, amico scomodo.

I DOMENICA DI QUARESIMA

                          I DOMENICA DI QUARESIMA  con preghiera dei piccoli

Luca 4, 1-13

«1Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, 2per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. 3Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». 4Gesù gli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo».
5Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra 6e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio.7Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo».8Gesù gli rispose: «Sta scritto: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto».
9Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; 10sta scritto infatti:  Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano;11e anche:Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra».12Gesù gli rispose: «È stato detto: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo».
13Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato»

 

Sembra proprio che lo Spirito Santo che guida le nostre vite voglia associarsi alle nostre preghiere e proteste contro la guerra lanciata da Putin contro l’Ucraina. E lo fa proponendoci, per la nostra preghiera domenicale, la solenne pagina del Vangelo di Luca che ci presenta Gesù che esce vittorioso dalle tentazioni a cui lo sottopone il diavolo.

Non è vita umana – ci dice questo racconto – quella che si affanna per “prendere” e per possedere; quella che insegue potere e gloria o quella che è disposta ad usare anche la violenza per imporre il proprio dominio sugli altri (mai percepiti come fratelli).

Ma non sono queste le premesse di ogni conflitto armato? Siamo attoniti e frastornati da una guerra “in casa” imprevista e imprevedibile (e che tutti gli esperti davano per impossibile a realizzarsi). Ancora una volta – però – ci è chiesto di prendere coscienza che le radici del male e della violenza non sono nella geopolitica, ma nel cuore umano. E che solo Gesù è l’uomo nuovo che supera, che vince e che sconfigge le tentazioni che ci avviano sulla strada della disumanità.

Ma oltre a condannare ogni guerra e qualsiasi ricorso alla violenza, che cosa ci comunica questo passo del Vangelo di Luca? Intanto ci conferma che nel suo assumere la nostra condizione umana Gesù ha fatto sul serio e si è confrontato – come noi e per tutta la vita – con quelle “scorciatoie” che siamo spesso tentati di intraprendere che, senza tanti giri di parole, san Luca ci dice che provengono dal diavolo. Vediamole.

La prima:Di’ a questa pietra che diventi pane”. “Parlare con le pietre e con le cose a rischio di perdere le relazioni umane e se stessi”, è questa la prima tentazione a cui è sottoposto Gesù. Ma vivere per le cose e sacrificare l’intera esistenza per “pietre” che non arricchiscono il cuore (carriera, soldi, ricchezza, beni di lusso, etc.) è follia. Quanti figli protestano perché hanno avuto tanto o tutto in oggetti e benessere ma sono stati privati della relazione, dello stare insieme e delle attenzioni affettive che il crescere necessita! “Non di solo pane vivrà l’uomo”, risponde Gesù. Per indicare che ciò che ci tiene in vita è il sapersi nutrire delle parole di amore rese solide e nutrienti dalla Parola di Dio.

La seconda. “Ti darò questo potere e la loro gloria” dice il diavolo nella seconda tentazione a Gesù. Confermando così che potere e gloria appartengono al diavolo. Ben venga la voglia di migliorarsi, di fare bene, di assumersi scomode e impegnative responsabilità anche in contesto lavorativo o politico. Purché il proprio agire si svolga sempre nella logica del servizio e distante dalle tentazioni del dominare l’altro per arricchire se stessi sfruttando gli altri. Quante volte però il potere, il prestigio, il primo posto e l’apparire calpestiamo il fratello e perdiamo la serenità di un vivere per fare il bene.

La terza tentazione è ambientata a Gerusalemme. Il diavolo prova – per l’ultima volta – a paralizzare Gesù con l’uso della Parola di Dio (per imitare Gesù che disarma il tentatore citando la Scrittura). “Gettati giù di qui. Vediamo se gli angeli del Signore ti porteranno sulle loro mani” dice il diavolo . Il diavolo usa il salmo 91, ma omette le parti in cui chi prega si affida a Dio e riprende solo le promesse del Signore per instillare in Gesù la messa alla prova di Dio. “Vediamo se verrà a salvarmi”. È la madre di tutte le tentazioni nel nostro pregare: mettere alla prova Dio e fidarsi di Lui solo se soddisfa le “mie” richieste. Significa però farsi un “dio” a proprio uso e consumo e pregare un idolo o un superuomo incaricato di debellare malattie o di superare esami al posto mio.

L’esatto opposto del Dio di Gesù che ci salva facendosi pane per noi e lasciando che il male avanzi su di Lui per vincerlo una volta per tutte. Ecco la buona notizia con cui la chiesa ci invita a iniziare la quaresima: fissare Gesù, l’uomo nuovo che – come noi – è stato attraversato dalle tentazioni dell’avere, del prendere, del potere, della gloria e del ridurre “dio” a un idolo, ma che – per noi – le ha vinte perché ognuno di noi possa fare sua l’umanità liberata dalle ferite inferte dall’egoismo, dalle ingiustizie e dalla violenza.

Buona quaresima con l’augurio che i venti di Pace spazzino via le follie della guerra.

 

                                 Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                    sei unico: per soddisfare la tua fame non hai accettato di trasformare una pietra in pane. Quando però hai visto che la folla che ti seguiva era stanca e senza cibo ti sei subito adoperato per dare loro pane e pesci.

Per gli altri il miracolo lo hai fatto. Per te, no.

Per questo – secondo me – sei Dio: perché al primo posto non metti mai te stesso, ma sempre gli altri. Noi.

Grazie Gesù perché ti chiami Emanuele che vuole dire “Dio-con-noi”, ma secondo me si può anche dire che il Tuo secondo nome è “Dio-per-noi”.

Avevo bisogno della Quaresima, Gesù. Per ricordarmi che la bellezza del vivere è data dal mettere in pratica questa parolina: “per”.

Aiutami a vivere “per” gli altri e a non pensare solo a me stesso.

Gesù: donaci la Pace e fai finire questa brutta guerra che fa tanto male a tutti.

VIII DOMENICA ANNO C con preghiera dei piccoli

VIII DOMENICA ANNO C  con preghiera dei piccoli

  Luca 6, 39-45

«Disse loro anche una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? 40Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro. 41Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? 42Come puoi dire al tuo fratello: «Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio», mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello. 43Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d'altronde albero cattivo che produca un frutto buono. 44Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. 45L'uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda».

 

Tra guerra in Ucraina, pandemia che rallenta ma che non scompare, bollette impazzite e aumento a dismisura delle condizioni di povertà (con tutto ciò che ne consegue sul piano relazionale, sociale e politico), siamo tutti letteralmente “frastornati”, confusi e, per usare un’immagine efficace, “come alunni senza maestro”. Abbiamo l’impressione (concreta) di essere senza guide, senza punti di riferimenti validi e alle prese con tanti (troppi) venditori ambulanti che espongono, gridando l’uno sull’altro, la propria merce per ampliare il proprio tornaconto personale (che spesso si riduce al consenso elettorale).

Le parole di Gesù che ci vengono offerte oggi per la nostra preghiera domenicale sembrano adatte al nostro contesto. Ieri come oggi c’era un’abbondanza di “guide” e di “maestri” da creare confusione e disorientamento. Significa che anche ai tempi di Gesù erano tanti coloro che senza titoli per insegnare a scuola si presentavano come “guide”, “maestri” e “docenti” pur di non lavorare. San Luca definisce queste figure con un’immagine molto efficace: “guide cieche” che in nessun modo possono guidare un altro. Ed è un rimprovero che Gesù si può permettere perché Lui è realmente Pastore, Guida e – in una parola – Maestro. Il che vuole dire che la prima buona notizia che ricaviamo da questo Vangelo è che non siamo soli e nessuno di noi è senza Maestro. È vero: abbiamo spesso la tentazione di spegnere il telegiornale perché alle prese con troppe brutte notizie che non riusciamo a comprendere, ma non siamo “soli”: Lui – “lampada per i nostri passi” e porto sicuro in cui approdare – c’è, è presente e non si stanca di offrici la Sua Parola e il Suo insegnamento perché nessuno di noi si smarrisca per le strade di questo mondo. Ed è un Gesù che non vende ricette, che non dice chi ha ragione nei tanti litigi in cui ogni giorno ci scontriamo e che non risolve i nostri problemi con la bacchetta magica, ma resta il nostro unico Maestro che ci dona la forza di essere buoni, di non giudicare, di anteporre l’altro all’io e di entrare – una volta per tutte – nella pratica del servizio, per stare bene.

Ma c’è un ulteriore insegnamento che possiamo trarre da questa inesauribile pagina di vangelo. La famosa immagine della trave nel proprio occhio e della pagliuzza in quella del fratello, ci permette di rivedere radicalmente il nostro modo di “guardare”. Quante volte guardiamo l’altro con l’occhio storto dell’invidia e in lui vediamo solo ombre! Quante persone – al contrario –si rovinano la vita per “copiare” il “fare” di questo o quel cantante, calciatore, attrice o diva! Ed è uno sguardo sull’altro – sembra dirci Gesù – perché abbiamo paura di guardare noi stessi con la bontà con cui Gesù appoggia i suoi occhi su di noi. Quante volte il singolo ha paura di guardarsi dentro perché si “sente” incapace, inadatto, inadeguato, non amato, non bello, etc. etc.

Ecco la seconda buona notizia: lo sguardo e la Parola di Gesù su di noi ci libera dalla trave che avvelena il nostro sguardo di noi e sui fratelli che ci vivono accanto.

Guidati da Gesù scopriamo che ognuno di noi è migliore di quanto lui stesso creda ed è realmente capace di fare il bene, con il Suo aiuto. Guidati da Gesù impariamo anche a vedere la parte sana dell’altro e ad allearci con questa senza inutili e nocivi giudizi.

Si noti la sfumatura: Gesù non parla di “albero cattivo”, ma di “albero malato/guasto”. Il particolare è importante perché ci dice, ci ricorda e ci conferma che se facciamo il male e non facciamo il bene è perché ci siamo “ammalati”, non perché siamo definitivamente cattivi. Gesù è il Maestro che con la sua Parola “cura” l’albero della nostra vita e ci abilita a fare azioni buone, vere, cariche di bontà, di amore e di giustizia. È possibile, ci dice il Vangelo di questa domenica, tirare fuori dal nostro cuore tutto il bene che c’è (e che spesso non vediamo o neghiamo) e guardare in modo diverso, bello e buono noi stessi, gli altri e il mondo intero.

Buona domenica.

Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                  da grande voglio fare il maestro.

E mi piacerebbe diventare bravo come Simone: il mio maestro che ci sa tenere, ci fa giocare e che quando spiega restiamo tutti a bocca aperta ad ascoltarlo.

Anche aiutare mia sorella più piccola a fare i compiti mi piace. E soprattutto sento che dedicare del tempo a chi ha bisogno di me mi fa stare bene.

E sai che cosa ho pensato ascoltando questo Vangelo? Che se da grande farò l’insegnante, voglio continuare a restare tuo alunno e sentire che sei Tu il mio unico e solo Maestro.

Mi piace la Tua pazienza con tutti noi. Ed è bello scoprire dal Vangelo che Tu non fai mai sconti a chi ti segue, ma che lo aspetti sempre e che aiuti tutti a rialzarsi.

Che ne dici della mia idea? Fare il “maestro” e – allo stesso tempo – restare “Tuo” alunno.

Grazie Gesù.

VII DOMENICA ANNO C

 

VII DOMENICA ANNO C  con preghiera dei piccoli

Luca 6, 27-38

[In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli]: «Ma a voi che ascoltate, io dico:

amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi

maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla

guancia, offri anche l'altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la

tunica. Da' a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate

quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale

gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell'Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi  sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà  misurato a voi in cambio"».

 

Siamo stati, per mesi, con il fiato sospeso per gli arsenali militari “piazzati” sui confini della Crimea, per le navi da guerra nei nostri mari europei, per il continuo invio di truppe e di soldati in Polonia o in Bielorussia pronti a fronteggiare gli attacchi della Russia.

A livello superficiale noi, Europa Occidentale, abbiamo temuto la guerra nell’Est europeo per le conseguenze (disastrose) sul piano economico e per timore di assistere al chiudersi dei rubinetti del gas proveniente dalla Russia. Più in profondità, però, ci siamo anche resi conto che il dramma della guerra non è solo quello economico, ma – come ci ha ricordato molto bene Papa Francesco – soprattutto quello etico e umano. La guerra è un’anti-creazione con l’uso della violenza, ci ha ricordato Papa Bergoglio. Ed è per questo che le attività diplomatiche hanno lavorato senza sosta per impedire il deflagrare di questa inutile e dannosa strage: perché con la guerra attuale, il 90% delle vittime sono civili (che non sanno nemmeno perché gli piovono bombe sulla testa, come diceva Gino Strada) e mentre i mandanti ricchi ampliano le loro ricchezze, i poveri sprofondano sempre più nella miseria.

Alla luce di queste riflessioni diventano sagge, indispensabili e profondamente umane le parole che il Vangelo ci propone in questa domenica di febbraio 2022. Anche perché da sempre il compito fondamentale dell’umanità – per salvare vita e convivenza - è quello del provare, ad ogni costo, ad impedire l’avvio della violenza che, una volta innestata, diventa forza distruttrice e inarrestabile. Si pensi al dramma della vendetta che obbliga chi ha ricevuto un male morale a reagire con lo stesso veleno fino a diventare violento (e illudendosi così di onorare la vittima). In realtà si amplia il male e si permane tragicamente nello spazio della violenza e della morte inaugurato da chi ha commesso il male.

Per porre un argine allo strapotere della vendetta, l’umanità aveva inventato la cosiddetta “legge del taglione”: occhio per occhio e dente per dente.  Come a dire: non andare mai oltre il male ricevuto nell’esercitare la tua vendetta. Ma la violenza una volta innescata – lo sappiamo – non conosce confini e travolge tutti e tutto (al punto che diventa possibile uccidere l’altro per un parcheggio rubato). Faide, stragi, guerre e conflitti in famiglia o internazionali hanno tutte la stessa convinzione: illudersi di ottenere, con la violenza, risultati considerati risolutivi per le proprie presunte ragioni. In realtà la violenza consolida sempre e soltanto logiche di morte. San Luca ci presenta oggi la proposta di Gesù in grado di sradicare – dal nostro cuore – quella quota di male e di violenza che ci rende tutti (nessuno escluso) deboli, fragili, peccatori e capaci di fare il male. Gesù ci chiede – con il Suo aiuto - di vincere il male (ricevuto) con il bene, con l’amore e con il perdono senza lasciare che la disumanità della vendetta ci paralizzi, ci impedisca di fare il bene e ci faccia annegare nelle logiche dell’odio.

La proposta di Gesù diventa così “pane” che nutre il nostro cuore e che lo educa a non giudicare, a non condannare, a perdonare e a dare. Due precise richieste a non fare un qualcosa che ci fa male: non giudicare e non condannare. E solo chi ha provato a mettere in pratica questi scomodi consigli sa quanta libertà generi il sospendere i giudizi, i pettegolezzi, le calunnie contro l’altro. Per scoprire che siamo chiamati a fare il bene e a donare (non siamo nati per tenere memoria del torto ricevuto e per restare imprigionati nelle sabbie mobili dell’odio). Un insegnamento scomodo – quello che Gesù ci consegna dopo le beatitudini – ma che ci permette di godere dell’amore del Padre misericordioso per diventare misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso. Si tenga presente che Gesù Signore non ci guida solo con il suo esempio (perché ha sempre saldato il suo dire al fare: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”), ma anche con la Sua grazia e la Sua presenza nella nostra vita per renderci capaci di fermare la strisciante violenza che c’è in noi fino a convincerci che perdonare chi ci ha offeso è fonte di libertà. E se non riusciamo subito a perdonare, possiamo sempre pregare per chi ci ha fatto del male. Il solo modo per sciogliere rancori e desideri distruttivi di vendetta che ci legano al male e ci impediscono di fare il bene. Buona domenica.

Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                    mamma dice che sono permaloso e che non so perdonare. E forse è vero. Quando ricevo un torto faccio il possibile per restituire tutto e forse anche di più.

Però hai ragione Tu: dopo che mi sono vendicato, non mi sento migliore.

La scorsa settimana, però, ho provato a fare come proponi Tu. Fabio mi ha fatto un brutto fallo e io non ho reagito come al solito. Ho compreso il suo sbaglio e gli ho fatto capire che lo perdonavo. Lui prima mi ha chiesto scusa e poi mi ha abbracciato.

Gesù, aiutami a capire la bellezza del perdono. Liberami dalla tentazione della vendetta e convinci il mio cuore che “forte” non è chi ad ogni calcio ricevuto ne restituisce due, ma chi tende la mano, chi accetta le scuse, chi perdona e chi fa del bene anche a chi gli sta antipatico.

Gesù sei unico.

VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO C

VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO  C con preghiera dei piccoli

 

Luca  6, 17.20-26

 

In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. 

C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone. 

Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, Gesù diceva:

«Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio.

Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati.

Beati voi che ora piangete, perché riderete. 

Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v'insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell'uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti.  

Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione.

Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame.

Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete.

Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi.

Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti». 

 

C’è voglia di normalità nell’aria. Per chi sta all’aperto non c’è più l’obbligo della mascherina; i contagi sembrano in netta discesa e gli ospedali – così ci dicono – sono meno intasati. Anche stadi e discoteche stanno riaprendo. Segno che con il ritorno alla “normalità” si fa nuovamente strada la vocazione dell’uomo all’essere “riuscito”, “realizzato”, “felice” o, come propone il Vangelo, “beato”.

Purtroppo, però, tra normalità e felicità non c’è un meccanismo di continuità certa. Lo sappiamo tutti: la ripresa di attività fino a ieri interdette non consegna in modo automatico la serenità, lo star bene o la felicità. Anche perché chi ci ha creati (a Sua immagine e somiglianza), le regole chiamate a condurci alla felicità le ha inscritte nel nostro cuore (e non le ha affidate al semplice sopravvivere tra lavoro e divertimento).

Il passo del Vangelo di san Luca che ci viene proposto oggi descrive esattamente il movimento necessario al raggiungere la felicità. Sono tanti coloro che inseguono Gesù. Provengono da tutta la Giudea, da Gerusalemme e persino dal litorale di Tiro e Sidone (e dunque non appartenenti al popolo di Israele). Gesù non respinge nessuno (è venuto per tutti!), ma per comprendere fino in fondo le sue parole – ecco il forte messaggio dell’evangelista – bisogna diventare “suoi discepoli”. È necessario, cioè, seguire il Maestro, stare con Lui, interiorizzare ciò che fa, ciò che dice e assumere la sua mentalità.

Solo chi diventa “suo discepolo” è in grado di cogliere la forza e la bellezza del Suo insegnamento. Premessa indispensabile per cadere nell’errore del pensare che le parole di Gesù sono rivolte ai poveri per provare a consolarli (e invitarli a non protestare!). Niente di tutto questo. Per Gesù la miseria che nega la dignità umana, non è mai un valore, ma una condizione negativa che denuncia ingiustizie e che deve essere contrastata. Sempre.

Il testo di san Luca dice altro. Gesù rivolge il suo sguardo verso i suoi discepoli (“alzàti gli occhi verso i suoi discepoli”) ed è a loro – ai suoi discepoli! – che dice “Beati voi, poveri”. Il “voi” di Gesù è perciò riferito a quanti lo hanno scelto come Maestro (non ai poveri che vivono nell’indigenza) e conferma il fatto che chi ha lasciato tutto per seguire Gesù, non ha perso nulla, ma ha trovato la pienezza del Regno di Dio che rende possibile una vita nuova, solida e indistruttibile. Nel capitolo precedente a questo discorso di Gesù, san Luca annota che Simone e soci non solo rispondono positivamente alla chiamata di Gesù, ma che “lasciarono tutto e lo seguirono”.

Ed è a loro – a chi ha lasciato tutto per seguirLo – che Gesù dice “beati voi”. 

Molti pensano che la vita cristiana sia solo sofferenza o un continuo rinunciare a quanto genera piacere e positività in nome di una spiritualità tutta sacrifici e mortificazioni. In realtà la proposta di Gesù è molto più ampia. Il “lasciare” che propone Gesù è un forte invito (liberante!) ad uscire dall’egoismo che ci mangia l’anima. Significa prendere le distanze dalla voglia di possedere, di accumulare, di vincere o di apparire che avvelena la vita. Quando “la barca” (il lavoro) diventa un idolo che si mangia la serenità e che obbliga a vivere per fare soldi, Gesù chiede di lasciarlo per seguire il solo Dio che non si fa idolo e che non si fa servire. Quando si vive per contare il denaro accumulato (e non lo si usa per chi ne ha realmente bisogno), si entra nell’avarizia che rende brutti dentro e fuori. Se il divertirsi diventa un assoluto che rovina la salute ed espone la vita a rischi inutili (si pensi alle “stragi del sabato sera”), quello “sballo” va “lasciato” perché non riposa, non diverte e perché nega umanità.

Il mio augurio è che alla voglia di normalità segua anche la doverosa voglia di felicità e non si dimentichi – mai – che il vero essere “beati” è dato dal dare, dal donare e dall’amare che ci propone Gesù. Tutto il resto (prendere, possedere, accumulare, contare, apparire o dominare) ci rovina la sola vita che abbiamo.

Un’ultima annotazione: per una simpatica coincidenza, nel giorno in cui la tradizione popolare ricorda san Valentino e ci immerge nella festa degli innamorati, la chiesa ricorda i santi Cirillo e Metodio, patroni d’Europa. Due santi che hanno speso la loro vita per “difendere” l’Europa dall’egoismo con la forza del Vangelo e non per blindare i nostri confini con la brutalità di muri e filo spinato. Auguri a tutti coloro che nei loro amori si sentono ancora innamorati e a quanti hanno capito che accoglienza e fraternità sono il fondamento dell’Europa e lo spartito della felicità. Buona domenica.     

                                                                                                                                                                                                                      

                                   Preghiera dei piccoli 

Caro Gesù,                                                          

                    dopo la lettura del Vangelo ho pensato al ragazzino che Ti ha dato i suoi cinque pani d’orzo e due pesci per aiutarti a sfamare tutta la folla che ti seguiva.

Era il suo pranzo al sacco. Poteva tenerlo per sé. Poteva nascondere il suo pasto per non doverlo condividere con Te e con gli altri.

Ha fatto il contrario: Ti ha dato quello che aveva e ha condiviso il poco che teneva nel suo zainetto per sfamare gli altri. 

E che cosa è successo? Il ragazzino non è diventato povero; non ha fatto la fame. Si è sfamato come tutti quelli che erano con lui e si è sentito contento, come dici Tu, “beato”.

Grazie Gesù. Oggi l’ho capito: condividere il poco che si ha per aiutare chi non ha niente, non ci porta alla miseria, ma ci regala il sorriso della giustizia e della bontà.

papa Francesco, Angelus del 6.2.2022

«Con Gesù si naviga nel mare della vita senza paura, senza cedere alla delusione quando non si pesca nulla e senza arrendersi al “non c’è più niente da fare”. Sempre, nella vita personale come in quella della Chiesa e della società, c’è qualcosa di bello e di coraggioso che si può fare, sempre. Sempre possiamo ricominciare, sempre il Signore ci invita a rimetterci in gioco perché Lui apre nuove possibilità. E allora accogliamo l’invito: scacciamo il pessimismo e la sfiducia e prendiamo il largo con Gesù! Anche la nostra piccola barca vuota assisterà a una pesca miracolosa».

 

                 papa Francesco, Angelus del 6.2.2022

V DOMENICA ANNO C

V  DOMENICA ANNO C  con preghiera dei piccoli

Luca 5, 1-11

 

«1Mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, 2vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. 3Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
4Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». 5Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». 6Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. 7Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. 8Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». 9Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; 10così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». 11E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono
».

 

 

Si ha quasi l’impressione, leggendo la pagina di Vangelo che la chiesa ci propone in questa prima domenica di febbraio, che lo Spirito Santo abbia intercettato le nostre paure, insicurezze, chiusure e fragilità per curarle con una pagina di Vangelo ariosa, aperta alla speranza e capace di infondere coraggio.

Siamo all’inizio del capitolo quinto del Vangelo di san Luca. Dopo aver insegnato in riva al lago, Gesù dice a Simone: “Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca”.

Parole che infondono coraggio (“Prendi il largo”), che spingono ad uscire, ad andare verso mete lontane sicuri del fatto che le aspettative non andranno tradite. Prestiamo però attenzione al fatto che Gesù non invita ad un andare generico e sinonimo di vagabondare a vuoto. Il Maestro chiede a Simone a ai suoi “colleghi” di andare lontano e di “gettare le vostre reti per la pesca”. Propone cioè di fidarsi del loro lavoro e di osare ancora una volta il gesto quotidiano della propria attività anche se le fatiche, fino a quel momento registrare, sembrerebbero dire il contrario (“Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla”). Ed eccoci alle prese con il nostro tempo.

Non siamo anche noi stanchi (persino sfiniti) a causa di una pandemia che da oltre due anni paralizza il mondo? Quanti lavoratori potrebbero dire, come Simone, “Maestro abbiamo aperto il nostro esercizio commerciale, abbiamo tenuta aperta l’azienda, abbiamo continuato a produrre., “ma non abbiamo preso niente”? E quanti sono coloro che, bloccati dalla paura, non riescono a decidere di ricevere il vaccino e rischiano malattie e gravosi ricoveri ospedalieri? Ma le paure non riguardano solo i contesti sanitari o legati alla pandemia. Si allargano anche alle realtà educative delle nostre famiglie. E così c’è paura a mettere al mondo figli (l’inverno demografico che vive il nostro Paese, così lo ha definito Papa Francesco, è oggettivamente preoccupante); si è impauriti del loro crescere e dei pericoli che possono “abbattersi” su loro futuro; si ha paura di lavorare, ma anche di non riuscire più ad andare in pensione. Paura del presente, paura del futuro, paura per sé e paura per i propri cari… . Paure continue che ci bloccano e che non ci aiutano a “prendere il largo”, ma che ci vedono costantemente alle prese con quel navigare lungo la costa e in quelle acque basse e conosciute che non ci permettono di vivere pienamente.

Profondo conoscitore del cuore umano, san Luca sa che solo Gesù è il Maestro capace di “vincere” le nostre (tante) paure che avvelenano i nostri giorni. Gesù, tra l’altro, sa molto bene che alle prese con le nostre fragilità e debolezze molte volte “non prendiamo nulla”. E proprio per questo cerca in modo speciale chi è finalmente riuscito a prendere coscienza dei suoi limiti e dei suoi fallimenti. Siamo noi che non sappiamo perdere e che consideriamo un fallimento la sconfitta. La logica di san Luca è diversa: solo chi prende coscienza dei suoi limiti, solo chi si riconcilia con la propria fragilità e solo chi accoglie la sua debolezza con libertà e leggerezza è in grado di fidarsi del Signore Gesù e della sua Parola.

Simone ha finalmente capito che il senso della vita non è dato dal contare solo sulle proprie forze, di fidarsi e di abbandonarsi alla Parola di Gesù (“Sulla tua parola getterò le reti”). E con il suo gruppo di colleghi (perché l’invito di Gesù è sempre aperto, arioso e coinvolgente la comunità) fa come gli è stato chiesto dal Maestro. E che cosa scopre? Non solo che le reti “quasi si rompevano”, ma quella Parola ha cambiato – per sempre – il suo modo di vivere e lo “ha aperto” a una nuova esistenza: quella di chi ha capito che vivere significa essere “pescatore di uomini”. Per la mentalità ebraica mare e acque erano il simbolo del “male”. Diventare “pescatore di uomini”, per Gesù, significa portare fuori dal male, dall’egoismo e dall’ingiustizia chi ci vive acanto. Anche perché solo quando la nostra vita si apre agli altri (ed esce dall’acquitrino a cui ci costringe l’egoismo e il pensare solo a se stessi) si intravede l’orizzonte ampio che rende sereni, beati e liberi.

Da non dimenticare: Gesù non chiede a chi segue il suo Vangelo di farsi prete o suora! Ma di prendere il largo e di vivere per gli altri. Premessa e promessa di libertà.

Buona domenica.

 

Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                    “prendi il largo” è un’espressione che mi piace tanto. Soprattutto oggi che tutti ci dicono di non uscire, di non andare lontano o, come mi dice sempre mia mamma, “resta sotto casa e fatti vedere”.

Prendi il largo” fa venire voglia di crescere, di sognare, di partire e di provare a fare cose grandi.

Io non sono mai andata a pescare (anche perché non mi piace), ma la barca ho tanta voglia di prenderla. Per andare anch’io ad aiutare tutti quei migranti ammassati e disperati su barchette nella speranza di afferrare un salvagente.

Non mi dispiacerebbe – da grande – diventare una che “prende il largo” per aiutare chi scappa dalla disperazione, per portare aiuto dove c’è miseria e per far capire alle persone che solo con l’amore e con la giustizia si esce dalle invidie, delle gelosie e dall’odio che rovinano la vita.  Sei forte, Gesù.

IV DOMENICA ANNO C

IV DOMENICA ANNO C  con preghiera dei piccoli

 Luca 4, 21-30

 «[Gesù in quel tempo cominciò a dire loro] “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”.22Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: “Non è costui il figlio di Giuseppe?”. 23Ma egli rispose loro: “Certamente voi mi citerete questo proverbio: Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”. 24Poi aggiunse: “In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. 25Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; 26ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. 27C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro”.28All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. 29Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. 30Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino».

 

Arriviamo da una settimana delicatissima per la vita del nostro Paese: l’elezione del Capo dello Stato da parte dei cosiddetti “grandi elettori” riuniti in sessione plenaria alla Camera dei Deputati. Tutti (ma proprio tutti) dichiarano di lavorare per proporre una persona di “altissimo livello”, di fama indiscussa e, ovviamente, “super partes” affinché possa diventare “il candidato condiviso da tutti”. Allo stesso modo, però, tutti si spendono per proporre il “loro” candidato: quello più vicino alle sensibilità del loro partito, quello meno distante dalla propria visione della politica e quello in cui chi lo propone si può riconoscere. Se questo doppio binario (dichiarazioni teoriche altisonanti e operatività spesa per portare l’acqua al proprio mulino) blocca la politica, proviamo ad immaginare quando questo meccanismo entra nel mondo della fede.

A parole (ma anche nei fatti) siamo tutti legati al dato religioso e agganciati al “dio” che puntualmente preghiamo prima di un esame scolastico, quando una malattia entra nella nostra casa, per difficoltà sul lavoro e che alcuni invocano prima di una partita importante e altri persino prima di una puntata nel gioco d’azzardo. Sono forme di religiosità che conosciamo e che impastano i nostri bisogni (più o meno veri o urgenti) con la supplica alla divinità di riferimento a cui si chiede di sciogliere una matassa che sul piano storico sembra troppo ingarbugliata. Quando si entra in questa prospettiva, però, il “dio” che si prega non può ascoltare le nostre richieste per la semplice ragione che non esiste. O meglio: esiste solo nella nostra fantasia che ha generato un “dio-burattinaio” incaricato di risolvere i “miei” nodi e i “miei” problemi. Non c’è mai traccia, in questo invocare il “dio” della fantasia, degli altri e di quanti non appartengono al mio clan.

Quanto accade nella sinagoga di Nazaret tra Gesù e i suoi compaesani è esattamente questo: Gesù si presenta come il vero, il solo e l’unico volto di Dio che porta salvezza a quanti sono al fondo della fila, ai lontani. Loro – quanti lo ascoltano – non sono però assolutamente disponibili a smontare l’immagine di “dio” che si sono costruiti nella loro testa e, proprio per questo, lo respingono.

Gesù legge la Parola di Dio; la attua; la corregge; omette le parti relative alla vendetta di Dio contro i nemici di Israele e la loro riduzione in schiavitù e soprattutto svela – con il Suo dire e con il Suo fare – il vero Dio che si chiama Gesù e nel quale c’è solo amore, perdono, misericordia e presa in carico degli ultimi.

Per chi ascolta il compaesano questo linguaggio è inaccettabile. Perché non sono assolutamente disposti a permettere che Gesù “cambi” la loro idea di “dio”. Ma nel respingere Gesù, quanti sono presenti nella sinagoga lo provocano con la madre di tutte le tentazioni: “Non è il figlio di Giuseppe? Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria!”. Come a dire che un Dio troppo immerso nel quotidiano, capace di costruire prossimità là dove siamo e soprattutto disposto a farsi uno di noi (in fila con noi!), esce dai nostri schemi. Non solo: chi si oppone Gesù gli chiede di salvare prima i suoi (quelli della sua patria) se vuole essere creduto e rendersi credibile. “Salvi se stesso, se è lui il Cristo di DIO, l’eletto” (Lc. 23,35) gli grideranno in croce quanti, per deriderlo, lo sfidano.

In Gesù, però, l’altro ha sempre la precedenza sul “mio” e sui nostri. Per il Dio di Gesù non esiste “prima i nostri”, ma sempre e solo “prima chi ha bisogno”.

Per la nostra spiritualità la provocazione è alta: siamo dalla parte di chi ascolta Gesù e lascia che i suoi schemi innovativi cambino il nostro modo di pensare, di agire, di pregare e di vivere oppure restiamo “fermi” nei nostri schemi religiosi, preghiamo “dio” quando ne abbiamo bisogno e imponiamo le nostre parole, le nostre richieste e i nostri schemi anche a Lui? Bella la conclusione del passo: “Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino”. Per dirci che Gesù è sempre in mezzo a noi (“Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!»” – Lc. 24,36): per aiutarci a camminare al Suo seguito e per trovare la libertà che si sperimenta quando si scommette la propria vita per metterla al servizio degli altri e in modo particolare dei più deboli.

Buona domenica.

Preghiera dei fanciulli

Caro Gesù,

                   appena ascoltato questo racconto non mi erano chiare le critiche dei tuoi paesani.

Poi ho capito: sono arrabbiati con Te perché non hai fatto il bene nella vostra “patria”. E ti chiedono di fare i miracoli per loro e davanti ai loro occhi, per potersi fidare di Te.

Per questo Ti vogliono prendere, catturare, cacciare e gettare giù dalla rupe: perché hai dato la precedenza a chi, anche se lontano, aveva bisogno del Tuo aiuto.

Per Te, però, non esistono i “vicini” e i “lontani”.

Il Tuo pensiero non è mai “prima i nostri”, ma sempre e solo “prima chi sta male”.

Bello anche il fatto che non riescono a prenderTi.

Tu passi in mezzo a tutti loro, ma nessuno riesce a catturare i tuoi insegnamenti per usarli contro i poveri. Grazie Gesù.